Le storie della vita che sfianca sono viaggi. Magris usa magistralmente questo topos perfino ovvio, nei racconti come nei racconti di viaggi, “Danubio” e “L’infinito viaggiare”. Non vite però, queste dei racconti, di personaggi supponenti e mediocri: Enrico Mreule qui, l’amico di Michelstaedter, che si segnala per aver lasciato a Carlo l’improvvida pistola.
Magris costruisce un monumento alla memoria di uno che risulta aver corso l’avventura in Patagonia, mentre la Patagonia ha guardato da lontano, e più di metà della vita ha passato semimuto a piedi scalzi, lo zimbello del paese. Un tipo non mitteleuropeo ma tedesco, Magris lo condivide per certi aspetti con Svevo ma non con Joseph Roth: vago e determinato. Uno che ama i Lieder e disprezza l’opera, e l’italiano, la sua lingua quotidiana, dice “conciliante e insolvente”, mentre il tedesco è, col greco, “l’unica lingua”.
Di tali personaggi, di Mreule come del generale Krassnov di “Illazioni”, Magri estrae l'io interiore, a volte possessivo (“Illazioni”), a volte divorante, come lo è stato per i fratelli Michelstaedter, anche senza la pistola. Nel caso di Mreule, piccolo barabba della piccola Salvore, oggi Savudrije, uno strambo tollerato, al tempo del fascismo, poi dei titini, infine dei croati. Lo estrae con naturalezza, dalle vite segrete e incolori, come se esse si imponessero allo scrittore. È tutto molto moderno, contemporaneo, questo essere del non essere. Ma il germanesimo è nel caso calzante, anche in biografie a esso estranee, se questo io interiore è invenzione di Lutero, agostiniano integrale.
Incidentalmente è citato Girolamo Vitelli, il papirologo con cui Michelstaedter ha studiato la retorica a Firenze. Un incontro immaginifico ma perduto nella narrazione, sia qui per Magris, che per Luciano Canfora, l’altro filologo grande narratore, che incontra spesso Vitelli nella sua monumentale biografia di Goffredo Coppola (“Il papiro di Dongo”), ma non Carlo.
Magris, Un altro mare
martedì 3 febbraio 2009
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