La Sardegna dopo Roma: si vice e si perde alle elezioni sempre entro il margine del voto d’opinione, il 3-4 per cento del totale. Ma se il voto è sempre radicato, i partiti non più. Inoltre, sono i sistemi elettorali e non correntizi che decidono, amplificando i vantaggi e svantaggi elettorali. È l’esito del nuovo sistema elettorale plebiscitario, adottato ormai con costanza dai referendum maggioritari di quasi vent’anni fa. Non perfezionato alle elezioni politiche nazionali, ma da tempo ormai operativo nelle istituzioni locali, il Comune, la Provincia, la Regione: si vota per un candidato e per il “suo” partito. Un candidato che è sempre un autocandidato, non nominato dal partito, e spesso un outsider, uno esterno agli apparati di partito.
Le istituzioni si sono adeguate a metà, permanendo lo stallo sulla votazione e i poteri del nuovo esecutivo nazionale. Al centro la politica va al plebiscito per avvicinamenti concentrici, il collegio uninominale un tempo, ora la semplicazione (accorpamento) dei partiti. Ma con riserve e deviazioni rispetto a una qualche forma d’investitura diretta dell’esecutivo. Per la diffidenza del vecchio Pci. E per la diarchia con la presidenza della Repubblica, che ha uno status d’incredibile privilegio (durata, irresponsabilità, discrezionalità) e vuole mantenerlo. Agitando, con il supporto degli ambienti economici che non vogliono un governo che governi, lo spettro dell’“uomo forte". Comunque, anche se in parte, il sistema operativo delle istituzioni vi si è adeguato. A riprova, della tendenza e delle resistenze, è il ricorso ai decreti legge: i governi, chiamati a decidere, non sanno che farvi ricorso, mentre Napolitano si affanna a bloccarli, quelli di Berlusconi come quelli di Prodi - sul dettato costituzionale di sessanta e più anni fa. Solo la pubblica opinione stenta a riconoscerlo, e questa è forse la conseguenza peggiore della nefasta influenza dell’ex Pci nelle redazioni politiche.
La deriva plebiscitaria è un fatto. Non ci può essere più il titolo dell’“Unità” che a ogni elezione comunque vinceva. Ora si vince e si perde con nettezza. E poi si rivota. L’abnorme sconfitta di Soru, che per molti aspetti è il prototipo dell’autocandidato, indica insieme la debolezza e la forza di questa figura politica principale del nuovo sistema elettorale plebiscitario. Uno che ha vinto contro le burocrazie di partito, le correnti, le cordate, i gruppi, benché senza fascino personale e noto speculatore, essendosi arricchito a danno di centinaia di migliaia di risparmiatori, anzi le spazza via, e vince. E poi per le stesse qualità, di strafottenza, solitudine, perde, beffato dall’assentesimo, e perfino dal voto disgiunto.
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