Sembra un vaudeville, ma sono la politica e il business del millennio: incassato l’assegno di Berlusconi, la Fiat torna subito ad attaccarlo. Assegno staccato a malincuore, si sa, ma che ha riempito a fine settimana di nuovo gli autosaloni. Non solo, Berlsuconi si è anche piegato a usare le Lancia e le Alfe per girare per Roma, invece delle Audi che esibiva, ma la durezza dei torinesi non si è scalfita. Lunedì il presidente della Fiat Montezemolo, col sostegno del fidato, in questo caso, “Corriere della sera”, ha chiesto, niente di meno, di riportare Epifani e Veltroni alla guida dell’Italia, con la scusa della crisi che è tutti noi. Lo ha chiesto mentre si consumava il disastro in Sardegna, ma non importa, l’odio della Fiat contro Berlusconi è inestinguibile.
Quella di Montezemolo non è immoralità: il presidente della Fiat è uno simpatico, essendo sempre stato presidente di qualcosa senza mai lavorare un giorno in vita sua. È anche l’erede che la Famiglia ha trovato al defunto Avvocato Agnelli, e questo sarà di grande aiuto agli storici. Montezemolo stesso è “tutti noi”, non è qui per faticare: la sua è commedia dell’arte, in cui ognuno recita invariabilmente il suo ruolo, e la Fiat invariabilmente quello della resistenza a Berlusconi. Anche perché non ci perde: gli assegni di Berlusconi sono obbligatori, mentre Epifani può assicurare, chissà, la santità.
Questo fa capire che il suo potrebbe anche non essere cinismo: di un’entratura in paradiso ci sarà bisogno se siamo, come il lieve presidente della Fiat dice, agli Stati Generali. Che è roba, come si sa, della Rivoluzione francese. La quale evoca lo zácchete della ghigliottina. E uno non sa, ecco il problema, se non conviene augurarsela - anche così Montezemolo è tutti noi.
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