Un ghirigoro, dal nulla al nulla. Senza filologia, né storia. Né c’è la scienza del potere, se non il Gramsci confuso di “ogni Stato è una dittatura”. E il vago risentimento del potere che sempre sta nell’ombra, l’anarchia a tutti comoda e che però della democrazia fa un’oligarchia.
C’è molto Cesare, ma è quello “tedesco”, che coniuga destra e sinistra, del periodo guglielmino e ancora di Weimar, che Canfora chiama il “fascismo democratico”. Un Cesare di maniera, un totem, uno dei santi ispiratori del Kulturkampf più vero, che è l’ideologia dei primati, in cui anche il socialismo si assoggettava alla grandezza della Germania. Ma non c’è Foucault, e nemmeno Andreotti, né l’Avvocato Agnelli. Non ci sono i Bottomore, Russell, Mosca, Pareto, Jünger, Schmitt, Machiavelli c’entra per caso. Il destra-sinistra che ha affascinato a lungo i tedeschi, e Canfora già dal tempo in cui propose il Gentile de “La sentenza” e “Il comunista senza partito” Arthur Rosenberg, grandi narrazioni, è qui nella esposizione dell’antichista Eduard Meyer, conservatore, teorico ammirato del “bonapartismo di sinistra” in Lenin.
Galantuomini e snob
Un libro di divagazioni, frettolosamente montato, ormai anche Canfora è a un libro al mese, o due, nel quale l’antichista dissipa pure le sue doti di narratore, oltre che di filologo. Per l’ossessione, evidente, di Berlusconi, che non citato buca in più posti – nel cittadino “suddito-consumatore-arrampicatore frustrato”, e nel televisore (“ormai la parola pubblica è morta, sostituita da un potentissimo elettrodomestico. Chi lo possiede, per dirla con De Gasperi, vince le elezioni”). L’ossessione coltivata, blanda cioè e non veramente ossessiva, che è per molti una sorta di trincea, benché lustra e anzi con design d’architetto, per i tanti che si pensano veterocomunisti, specie diffusa tra i vecchi galantuomini, intellellettuali, meridionali – un po’ oblomoviani, certo, salveminiani. Canfora sa benissimo, per dire, poiché lo sanno tutti, che Berlusconi è invece un pessimo comunicatore, legnoso, ripetitivo, inconcludente, monotono, uno che non “buca lo schermo”, ma si parla allo specchio e mai entra in comunicazione (feeling) col pubblico, e che se le elezioni si vincessero con i talk show lui le perderebbe. Ma sì è uomo dei καιροί – Canfora, che il καιρός evoca, il momento buono, l’opportunità, per farne merito a Stalin, si lascia sfuggire questo καιρός, e cioè che Berlusconi è l’uomo dei καιροί, non se ne è perso uno. Che volgarmente si direbbe “ha culo”, ma è anche dote politica, saper afferrare il momento giusto, le opportunità, i treni - se una definizione si può dare di Berlusconi, è: “l’uomo delle opportunità”.
Pensare i berlusconiani frustrati, uno invidia tanta certezza. Non è la sola. Il libro si chiude con un sublime Hobsbawm, testimone involontario dell’indigenza politica di alcune generazioni intellettuali – con cui Canfora supersnob finge d’identificarsi, suprema ironia: “L’unica cosa assolutamente certa”, fa dire a Hobsbawm, è che l’impero americano “sarà transitorio come tutti gli altri imperi”. Da stropicciarsi gli occhi.
Luciano Canfora, La natura del potere, Laterza, pp. 99, € 14
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