Dunque gli Stati Uniti aprono ai talebani. Non il governo afghano, ma la potenza militare occupante, seppure sotto bandiera Onu. È la conferma della politica filoislamica dell’America. E di un duplice errore. I talebani, che si trovano avallata da Hillary Clinton la loro tesi che il governo Karzai è un fantoccio, non vorranno solo sedersi al tavolo, vorranno tutto il potere. Magari con la promessa di non interferire con le politiche Usa nella regione - è lo schema originario khomeinista, quello che nel 1980 portò gli Usa ad abbandonare lo scià. Il secondo errore sta nel fatto che il governo Karzai è stato eletto, in un processo di modernizzazione della politica afgana, di liberazione dalla rete tribale – che, si condivida o meno, è l’unico contributo positivo che l’Occidente può esportare, positivo nel senso della democrazia.
Ma sono errori? Questo filoislamismo molto imperialista rientra nella politica democratica di disprezzo del mondo, di Wilson, F.D.Roosevelt, Truman, Kennedy, Lyndon Johnson, Carter, Clinton. E naturalmente nella tradizione filoaraba e filoislamica
di Washington. Che rimonta al patrocinio della famiglia Saud nella penisola arabica, e si è allargata a tutta le regione con la guerra di Suez. Sviluppata in entrambi i casi all’insegna dell’anticolonialismo, questa politica è stata poi rafforzata da Kissinger negli anni 1970 col sostegno al radicalismo islamico di Zia ul Haq in Pakistan, contro la penetrazione sovietica e il neutralismo del subcontinente indiano, ritenuto ancillare all’Urss. E poi in tutto il Medio Oriente, khomeinismo compreso, e nel Maghreb, spesso sotto la copertura saudita. Fino a farne, con successo, il fronte avanzato antisovietico con l’Urss in Afghanistan.
Obama e Hillary Clinton riprendono e rendono manifeste queste tradizioni, di aloofness democratica e di filoislamismo. Che gli Stati Uniti non hanno smesso di considerare un indirizzo principale di politica estera - per il petrolio, per la finanza e come area integrabile – anche quando è sfociato nel terrorismo, in Algeria, nel Sudan, in Africa, in Palestina.
Con l’11 settembre questo fronte ha abortito nel rifiuto degli stessi Usa e nel terrorismo. Se ne tenta ora il recupero facendo spazio al nuovo radicalismo, palestinese e talebano. Con prospettive che potrebbero essere buone, anche se l’islam si ritiene a tutti gli effetti non inferiore all’Occidente e all’America. E in realtà anzi superiore - inferiore\superiore è la categoria politica dominante, da sempre, dai tempi del Profeta. Non governabile cioè. Tanto più verso un’apertura come quella americana, che molto presume di sé, quasi padronale. L’apertura appare utilizzabile per un disimpegno dell’America dalle due guerre, ma non per la stabilizzazione dell’area: tra un anno Hillary Clinton avrà perduto lo smalto, la profezia è facile.
Restano comunque fuori l’Iran e il Pakistan, le due potenze nucleari, che ambiscono entrambe a un ruolo di potenza regionale. Gli ayatollah, com’è ormai loro consuetudine da trent’anni, si mostreranno concilianti, ma non sull’atomica. Faranno succedere ad Ahmadinejad una personalità democratica, possibilmente un ayatollah, una persona di grande standing culturale cioè. Ma non recederanno dall’atomica. Quanto al Pakistan, è dubbio se non ha la forza oppure la volontà di fare da santuario al terrorismo qaedista e salafita. Ma tutto lascia propendere per la seconda ipotesi. Nella scienza politica islamica nulla si dà per nulla. Come è di qualsiasi diplomazia, ma nell’islam nessun mezzo è escluso.
domenica 8 marzo 2009
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