Vale la pena rivedere a freddo le reazioni degli intellettuali che il Pd privilegia all’indomani della sconfitta in Sardegna. La sconfitta Sarkozy ha definito un capolavoro di Berlusconi. Ma l’isola era, ed è, saldamente di sinistra: vale la pena chiedersi cosa non ha funzionato.
Il giorno dopo Lucia Annunziata ha aperto “La Stampa” con un innocuo can per laia: “La sinistra ha molte responsabilità nella propria continua sconfitta di questi ultimi anni. Ma nessuna è forse così rilevante quanto la rimozione con cui continua a negarsi la verità su se stessa”, questa è la conclusione. Quale verità non è dato sapere.
Mauro è di malumore, si capisce cha abbia portato “Repubblica” a un vicolo cieco. “Il Partito democratico è senza un Capo, nel momento in cui Berlusconi si riconferma leader incontrastato della destra, anzi padrone del Paese, che tiene ormai in mano come una "cosa" di sua proprietà, tra gli applausi degli italiani. Il risultato della Sardegna era atteso come un test nazionale e ha funzionato proprio in questo senso, rivelando la presa sul Paese di questa destra, che vince anche mentre attacca il Capo dello Stato, rinnega la Costituzione, offre un patto al ribasso alla Chiesa e non riesce ad affrontare la crisi economica. L'Italia sta con Berlusconi”. Tutti coglioni, insomma. E, come conseguenza, il Pd va in frantumi: “Il problema vero è che non c'è stato un altro pensiero in campo oltre a quello della destra, un pensiero lungo, riformista, moderno, occidentale, di una sinistra risolta che con spirito nazionale e costituzionale sappia parlare all'intero Paese, cambiandolo”.
Il “Corriere della sera” approssima meglio la verità. Massimo Franco biasima il “primato velleitario” di Veltroni, il primato morale, o civile. E il 18 febbraio, dopo ancora un giorno, Panebianco, che non è veltroniano, vi si avvicina ancora di più: il progetto di Veltroni era “una salutare reazione all’eccesso di frammentazione”, e doveva “dar vita a un amalgama (relativamente) nuovo, fornendo alcune tradizioni politiche in precedenza importanti ma ormai consumate dalla storia”.
La sinistra ha bisogno di una iniziativa politica. E di un minimo comune denominatore organizzativo. Come partito e nella legge elettorale. Ma i suoi intellettuali non glielo consentono – ispiratori, portavoce, trombettieri, guitti. Nessuno che dica che il partito di Veltroni è nuovo e vecchio, molto vecchio. E che era ed è insoddisfacente. Per l’assetto politico nuovo che il paese dal 1991 si sta dando, con i referendum per la governabilità. Tanti scienziati politici attorno al Pd, e nessuno che sappia o dica la verità: che il regime elettorale è ormai plebiscitario, e vince o perde il partito di un capo.
Non è la sola mancanza. Nessuno che dica che la sinistra deve liberarsi dai postcomunisti. Solo lo storico Andrea Romano. Che è però sospettato di non essere buon democratico, forse nemmeno postcomunista. La sinistra deve liberarsi del linguaggio doppio. Deve liberararsi della finzione. Deve liberarsi da se stessa, dalla presunzione di essere migliore. Berlusconi si può battere, è elementare. Possibile che gli intellettuali e scienziati politici del Pd non lo sappiano? Cioè, perché non lo dicono? Sarà che sono amici del giaguaro.
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