Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, pp.255, €11,50
domenica 1 marzo 2009
Pasolini vaffanculista
La recensione di “Un po’ di febbre”, la raccolta di racconti di Sandro Penna, esordisce : “Che paese meraviglioso era l’Italia, durante il periodo del fascismo e subito dopo!” Con “la felicità «reale»” dei contadini e sottoproletari, perduta con lo sviluppo. Il poeta voleva sconcertare, e ci riesce. Ma non di più. La raccolta di articoli si legge sempre molto, ma perché non c'è molto di meglio dopo.
Alfonso Berardinelli nella nuova, impacciata, presentazione, dice Pasolini uno dei pochi autori (con Zanzotto e Volponi) non cifrabili in ambito cosmopolitico. Era un nostalgico. Questi sono sempre i suoi articoli migliori (le lucciole, io so, la rivoluzione antropologica, le recensioni) ma sono passatisti. Paesaggistici, vedutistici. “Strapaese” quarant’anni dopo, se non fosse che Malaparte e Longanesi, altrettanto mordaci, erano nel ruolo, e quindi ben vivi. Si leggono ancora, ma come reperto. Come scritti d’autore hanno perduto lo smalto di quando uscirono. E bisogna chiedersi se la loro forza straordinaria non stava nel veicolo, il “Corriere della sera”, più che nel testo.
C’è anche il frammento inedito contro Carlo Casalegno, odiato più del “miserabile fascista di dieci anni fa”, uno sconosciuto che il poeta ricorda di avere inseguito per un buon quarto d’ora attraverso tutta San Lorenzo tanto il suo sdegno era inesausto. A Casalegno Pasolini imputa, per un articolo sulla “Stampa” contro di lui e Moravia, “la mania che ha preso gli italiani di darsi continuamente dei fascisti tra di loro”. Mania che però egli stesso aveva avviato qualche mese prima sul “Corriere della sera”, con “Il fascismo degli antifascisti”. Con leggerezza, certo, alla Pannella, alla Ottone, i vaffanculisti dell’epoca, certo tirati ai quattro pizzi, sobri, inappuntabili. Molto borghesi.
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