Tra impegni annuali e pluriennali, da fine 2007 il governo Usa e la Federal riserve hanno impegnato contro la crisi dodici miliardi di dollari, quasi un pil annuale degli Usa. Per quattro quinti si tratta di erogazioni o impegni a favore del sistema finanziario, banche e assicurazioni. I fondi già erogati sono poco meno della metà degli stanziamenti, circa 5 mila miliardi, più del pil della Germania, il maggiore in Europa. Non è finita, e anzi prospettive peggiori si annunciano. Il calo del pil sarà nel tempo prevedibile non minore del 4 per cento. I nuovi disoccupati aumentano ogni mese in progressione geometrica, e sono ora a un milione al mese: a quelli dei servizi, che nell’ultima rilevazione hanno portato i posti perduti a quasi 700 mila, si aggiungono quelli dell’industria - meccanica, dei trasporti, dell’energia, e perfino dell’informatica. Citigroup e Bank of America, in aggiunta a General Motors, sono reputate insolventi dal mercato: in due anni la loro capitalizzazione si è ridotta rispettivamente a un ventesimo e a un decimo. La Federal Reserve, che ha mobilitato due terzi delle risorse anticrisi, potrebbe non farcela più. Anche perché, dice il ministro del Tesoro Geithner, ex Federal Reserve, “il sistema finanziario lavora contro la ripresa”, e contemporaneamente “la recessione impone nuove pesanti pressioni sulle banche”. Il piano del predecessore di Geithner, Paulson, quello dei 700 miliardi, è già fallito per quanto riguarda le banche: metà dello stanziamento, quello che è andato alla ricapitalizzazione delle banche, è scomparso senza effetto.
A rischio è ora la tenuta del dollaro, e del sistema globale di credito alla produzione – la globalizzazione. Le banche Usa, d’investimento e di affari, erano centrali nella globalizzazione, con loro è a rischio l’insieme dei rapporti economici internazionali.
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