martedì 21 aprile 2009

L'Onu è islamica - e razzista?

Un terzo dei membri dell'Onu è di religione islamica, o a forte presenza islamica: 45 paesi membri, sui 192 totali, sono islamici, altri quindici (tra essi grandi paesi come l'India, la Nigeria, la stessa Cina) hanno una presenza islamica che condiziona le scelte nazionali. Si spiega anche così la sceneggiata dell'Onu a Ginevra contro il razzismo. Con l'iraniano Ahmadinejad protagonista, che tra gli applausi accusa Israele di razzismo. Il giorno in cui gli ebrei ricordano l'Olocausto.
L'accoglienza compiaciuta del presidente svizzero ad Ahmadinejad il giorno prima. La risata divertita di Ban Ki-moon al passaggio di Ahmadinejad il giorno dopo. Due foto la dicono lunga sull'Onu delle buone coscienze, che è niente più del servilismo dei suoi burocrati. O del confuso laicismo occidentale, che è a sua volta niente o poco più dell'anticlericalismo e dell'ateismo. Più del miserabile scodinzolamento dello svizzero Hans-Rudolf Merz, è sinistra la risata di Ban Ki-moon: poiché Ahmadinejad parla unicamente il farsì, la risata del segretario generale coreano può essere espressione solo dell'assoluto razzismo della sua cultura nazionale – come di quella giapponese, o cinese..
La connotazione islamica non è indifferente. Anche nei paesi più lontani dalla sharia , dal clericalismo islamico, come il Marocco, la Giordania o la Siria, la religione è un fattore identitario forte. È anzi il fattore coesivo maggiore, e tutto sommato il più democratico. Per quanto lontani dal sentimento religioso, come il presidente tunisino Ben Alì o il siriano Assad, i governanti di paesi a prevalenza islamica si ritengono obbligati all'osservanza della comunità di fede. In base alla quale, per quanto divisi sulle singole questioni, si sentono obbligati al reciproco interesse. Pur non contando su un blocco, non monolitico e anzi più spesso diviso, l'islam è il sesto membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Se non è compatto su nessun tema di politica internazionale, è tuttavia un sentimento di cui l'Onu deve tenere conto per ogni aspetto dell'infinita negoziazione che ne fa l'esistenza.

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