Parla Obama atono a raffica, senza passione, senza apparente intelligenza, senza nemmeno senso, parole su parole, poi fa passerella con la moglie en beauté, come a un reality, e su queste parole al vento si tessono strategie e speranze, multilateralismo e kennedysmo. Obama è contro le armi nucleari, per l’aria pulita, e per l’acqua abbondante. Bene. Cioè, ci mancherebbe, sono gli Usa quali li abbiamo sempre sentiti, belli, bravi e buoni. Ma l’Afghanistan? L’Iran? Israele? Ogni giorno Obama parla della crisi, ma siamo sempre a Clinton, al modello Wall Street o dell’“arricchitevi”.
Oppure, che è più vero, anche se per ora non si dice, è un mondo diverso. In cui c’è l’Asia e non c’è più l’Europa, per semplificare. E gli Stati Uniti sono Star Trek-Guerra stellari, dalla caduta del Muro sempre in una qualche guerra, anche due e tre insieme, remoti gestori di un impero che non considerano e non conoscono - Obama ha perfino la sagoma del perfetto androide, che parla come l’aquila dello stemma, guardando da destra e da sinistra (in realtà legge i messaggi prefabbricati dalla Forza Oscura....), figlio di un africano uscito dal bush e ivi scomparso, di una madre fattrice bianca di cui altro non si sa, educato nelle remote Hawai da vecchi saggi, in figura di nonni.
Ma ci sono costanti nella politica Usa, anche ora dopo la mutazione genetica, e quali che siano i discorsi dei presidenti. In politica interna è, sempre dopo Kennedy, il giovanilismo. In politica estera la costante è l’unilateralità, perfino violenta, e la succedaneità di ogni alleato o federato – con l’eccezione, oggi, della sola Cina.
Il multilateralismo era stato già impostato da Kissinger con Nixon, e poi elevato a dottrina nel 1976 con la crisi istituzionale americana. Ma solo nel senso di dettagliare accademicamente in quattro grandi aree, più gli Usa, le problematiche mondiali. Nei fatti si tradusse nella definitiva emarginazione dell’Europa dagli affari mondiali, il petrolio e il dollaro, e nell’apicalizzazione dei rapporti mondiali sugli Usa, dell’Urss, della Cina, e del Terzo mondo (non allineamento, cooperazione per lo sviluppo, Opec), che prima si potevano interconnettere fuori del controllo degli Usa.
È un multipolarismo particolare, questo del paese che ignora la geografia. Anche se il multipolarismo di Kissinger, e ora di Obama, è quello di Carl Schmitt, delle proiezioni regionali di un centro unico. L’impero Usa è tutto in Schmitt, su cui Kissinger teneva seminari nei primi anni Cinquanta, uscito appena il filosofo ex captivitate - il mondo multipolare è una novità di “1984”, il fantaromanzo di George Orwell, che lo divideva in tre, Oceania, Eurasia, East Asia, per Oceania intendendosi l’atlantismo. L’America è continentale e insulare. È questo semplice fatto che la pone, soa, al centro del mondo.
Per kennedysmo s’intende probabilmente il discorso di Berlino, oltre che la solita immagine del presidente giovane, longilineo, bello. Ma i Kennedy hanno creato il castrismo, cioè la rottura con l’America Latina, che tante guerre poi ha portato, golpe, stragi, e ancora oggi perdura. E il Vietnam, che il mondo inchiodò alla guerra fredda, dopo il promettente disgelo degli anni di Eisenhower, per un trentennio probabilmente in eccesso sul necessario.
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