Giuseppe Leuzzi
Non c’è avvenire senza storia. Non sono dunque felici i popoli senza storia. E d‘altra parte, la distruzione è della storia - ma allora bisogna avere avuto qualcosa che vada distrutto. “La prima radice”, forse il saggio più ricco di verità di Simone Weil, anche se il meno letto, è un inno alla tradizione: “Di tutti i bisogni dell’anima umana, non ce n’è uno più vitale del passato”:. Non c‘è avvenire senza storia: “L’avvenire non ci apporta niente, non ci dà niente; siamo noi che per costruirlo dobbiamo tutto dargli, dargli la nostra vita stessa. Ma per dare bisogna possedere, e noi non possediamo altra vita, altra linfa, che i tesori ereditati dal passato e digeriti, assimilati, ricreati da noi”. Se non che “il passato distrutto non ritorna mai più. la distruzione del passato è forse il crimine più grande”, Sì, il Sud è mafioso, è corrotto, si malgoverna, ma di tutto questo non ha l’esclusiva. Di suo non ha storia,
Ancora Simone Weil, ancora “La prima radice”: “L’eccesso di stabilità produce nelle campagne un effetto di sradicamento”. Bisognerebbe organizzare per le campagne una sorta di Tour de France. Con tappe di lungo periodo, non in città ma in altre campagne – l’acculturazione attraverso il servizio militare è per questo dannoso, contribuisce allo sradicamento: il giovane contadino esce umiliato dal confronto con l’urbanizzato, il settentrionale, l’alfabetizzato.
Alvaro o l’odio di sé meridionale
Il Sud è il 2 per cento, in termini di spazio o di attenzione, nella “produzione” di Alvaro, romanzi, racconti, viaggi, corrispondenza, saggi, il 3. Non si ricorda del resto una sua presenza al Sud, se non, raramente, a casa a San Luca, per visitare, poche ore, la madre. “Il narratore ha visto la Calabria quasi solo da bambino” (Pedullà, “Per esempio il Novecento“, p.426). E tuttavia sono innumerevoli i suoi rimandi al mondo originario, nei racconti, nei romanzi, nei diari, tra la Montagna e il mare Jonio. Della Calabria scrisse anche un sussidiario, non cupo, riportato alla luce da Antonio Delfino. Ma la sua Montagna resta quella di “Gente in Aspromonte”, che appare perfetta e invece è falsa – manca il silenzio, la religiosità, la tradizione, la resistenza, non disperata. È un ottimo esempio di letteratura che crea il fatto, ma traditrice: la povertà è anche indigenza, si sa che c’è la festa ma non si sente, tutto è sempre cupo, “è un fatto che qui manca la nozione geometrica della ruota”, e non c’è compassione, solo gioia maligna, per le disgrazie del protagonista Argirò, e la natura si confà, aspra e cattiva. L’Aspromonte giace sotto “Gente in Aspromonte”.
Alvaro muore nel 1956. È celebre, importante e agiato, con casa a Roma in piazza di Spagna e
buen retiro in campagna a Vallerano, dove vuole essere sepolto. Il padre, che lo ha voluto ragazzo educato nel collegio esclusivo dei gesuiti a Mondragone, e lo ha mantenuto a lungo in giro per i suoi difficili studi e la sua carriera in Italia, muore a gennaio del 1941. Una morte che (“Memoria e vita“) impone “tregua alle invidie del paese”, tra gente “fuori dal mondo”, in una casa rattoppata, col prete ubriaco: “La notte dormimmo tutti con la madre e le sorelle nella stanza dove figli siamo nati. I vetri erano rotti, i muri lesionati ancora dal terremoto (del 1908? N.d.r.), le finestre cadenti. Entrava il freddo nevoso dell’Aspromonte ed io lo riconoscevo nel sonno come un paesaggio mio”. Una presenza riconosciuta e rifiutata.
Soldati, “Fuga in Italia“, pp. 81-3: non il latifondo al Sud ma piccoli proprietari, ricchi e avari, che vivono nel lerciume, risparmiando sul cibo.
Un mondo verghiano, non vittima del latifondo. Vittima lo è, ma dei compagni. Dell’ignavia, i compagni sono i gentiluomini di Salvemini, dell’ignoranza, degli spropositi in materia di feudalesimo. Quando si vede a occhio che non hanno nemmeno il vincolo della mezzadria, solo quello dell’avidità. Tutti piccoli proprietari, ma tutti lerci nelle abitazioni e in famiglia, non si curano e nemmeno si cibano bene, per l’avarizia, per accumulare. Non sanno nemmeno loro che cosa. Un mondo, anche, pirandelliano, della roba sordida, era tutto scritto. Compreso il vero socialismo, la vera anti-borghesia.
Il problema del Sud è, oggi come ieri, l’incapacità, la debolezza, l’ignavia della borghesia, degli imprenditori come dei proprietari., he quando sono qualcosa so0no asserviti. Al Nord, allo Stato, al malaffare, e al popolo, all’avidità. Come se ne esce? Facendo borghesia il popolo, dell’avidità una virtù (thrift, risparmio, rigidità morale), senza rinunciare naturalmente alla borghesia, che è accumulazione: una risorsa: di capitali, conoscenze e anche senso etico. Non si crea niente senza accumulare. Combattendo il Nord, lo Stato, le mafie, ma avendo un blocco su cui contare, non le petizioni di buona volontà, il perbenismo, le esecrazioni -.si sa che tutti gli altroi sono cattivi.
L’inconsistenza è il limite del democraticismo: le viscere putride della società vomitano senza fine masse voraci e violente, sono il “fuori dentro” che tormenta Canetti, per violenza diretta contro altre persone, oppure indiretta, sporcizia, disordine, prepotenza. Il che non essendo fisicamente possibile, avviene per un meccanismo autoriproduttivo: i brutti, sporchi e cattivi sono anch’essi in numero limitato, ma la barbarie produce barbarie.
Tutti sanno da molto tempo ormai leggere e scrivere, fanno la doccia, mangiano a volontà, si curano. Perché dunque nessuno canta? Il problema delle società governate dalla mafia, non si può dire, ma è il problema delle società rivoluzionarie. La mafia non diventa classe dirigente perché sa solo generare mafia, come la revoluciòn ha bisogno di più poveri e più disordine.
Siculiana
- I siciliani fanno i cattivi della storia. Ce n’è bisogno e loro si prestano.
- Ce ne vuole almeno uno in ogni storia, anche siciliana. Ma non si può fare una bella siciliana: il siciliano brutto e cattivo s’incontra con la sicliana pelosa e coperta di nero.
- I miri sbattono tra di loro. Ma il siciliano è anche macho, per essere cattivo, e quindi si deve rifare. Con le puttane, con le straniere. Si spiega così la letteratura siciliana della donna puttana. E la fortuna turistica della Sicilia: per consentire ai milanesi, e ai nordici in generale, di perpetuare le loro storie nel solco già tracciato..
I siciliani, il popolo pi antico dell’Europa, sono caratteristi. Recitano sempre lo stesso ruolo.
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