L’epica di un episodio vinto in una battaglia di una guerra persa in partenza. L’epica della resistenza. Mal scritta, mal costruita, ma l’epica si celebra irrazionale, di materiali incoerenti, anche detriti e scarti - non per nulla Kadaré è dantista appassionato.
Qui l’aquila albanese ha ragione dell’immenso impero turco – che non è masi successo. Un impero che è un affastellamento di parole incomprensibili, akingi, asapi, eshkingi, dalklicci, serdengestleri, muselemi (alcune suonano italiane del mal d’Africa: giebelù, ciauccobasce). Ma non c’è bisogno di esagerare, le bugie vi sono contenute – i turchi introducono in Albania il delitto di sangue per contenerne la demografia, i turchi mandano all’assalto le loro truppe perché non anno di che sfamarle, gli albanesi sono alti e biondi. Ma funziona, l’epica è una voglia.
È la speranza, che la guerra comunque trasforma in vittoria.
Ismail Kadaré, I tamburi della pioggia
mercoledì 20 maggio 2009
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