Il cambiamento vero al “Corriere” non sarà stato dunque tanto de Bortoli, la direzione, quanto la gestione sindacale. Non si farà la “ristrutturazione”, termine bandito a via Solferino, e per questo deprecato da de Bortoli, ma la rinegoziazione dei patti aziendali sì, normativi ed economici. Che poi è l’anticamera della fine del consociativismo che ha governato la maggiore azienda di quotidiani – e quindi tutto il settore: fine della gestione congiunta, imposta nella direzione Ottone quarant’anni fa. Non proprio della fine del consociativismo, che l’azienda peraltro cerca e ripropone, poiché ne ha bisogno, ma sì di quello gestito a lungo con durezza dalla vecchia guardia sindacale, gli uomini di Fiengo
La comunicazione immediata ai sindacati aziendali delle decisioni del cda il 14, in linea con la vecchia filosofia, è anche l’inizio della nuova. Per ora non si toccano i poteri di veto sindacali sulla direzione, e quindi sulla gestione del “Corriere”, ma si rompe il fronte sindacale, tra i collaboratori e le categorie inferiori di redattori e quelle stabilizzate, e si rimettono in discussione alcuni privilegi contrattuali aziendali. Per una riduzione dei costi del lavoro del 25 per cento, che è un taglio radicale. Tutto concentrato nei prossimi mesi.
Il riflesso condizionato dei sindacati aziendali è stato l’arrocco, con la proclamazione di sei giorni di sciopero. Ma con un occhio all’indifferenza della redazione. Un occhi peraltro già stanco: i sindacati non mettono in dubbio la portata della crisi, che vede il maggior quotidiano italiano scendere verso le cinquecentomila copie, dopo aver costeggiato le settecentomila. E i concorrenti fare ancora peggio.
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