Netanyahu a Washington dice sì-no a Obama, Ahmadinejad a Teheran dice no-sì a Frattini, cioè all’Unione europea. L’uno sornione all’idea obamiana di uno Stato palestinese, l’altro sarcastico col suo missile che colpisce a duemila chilometri. Dopodiché il premier israeliano dice che l’Iran è sempre un pericolo, e il presidente iraniano che Israele non esiste. Continua il chiama e rispondi tra l’Iran e Israele nella radicalizzazione del Medio oriente che impedisce una qualsiasi stabilizzazione del fronte arabo, come avamposto dell’Occidente, o dell’impero americano. È un pattern in atto da più di vent’anni, dall’operazione Iran-Contra, che Obama ha problemi a scalfire, e tanto più la Farnesina.
E' lo stesso schema per cui Israele non firma il trattato di non proliferazione nucleare perché l'Iran non lo firma, e viceversa, e così via. Anche se i due paesi non hanno alcun motivo di ostilità recirpoca e hanno anzi un nemico comune, il fronte arabo.
È così durata solo un paio di settimane la tentazione italiana di promuovere il disgelo a breve termine con Teheran, partendo dall’incontro di Trieste sull’Afghanistan. Il tempo per Israele di darsi un nuovo governo non trattativista, e per Teheran di rispondere. Il missile è per ora approssimativo, ma Frattini e si suoi diplomatici hanno capito il significato dell’annuncio, rinunciando al previsto ruolo ponte. Quanto all’Afghanistan, né l’Iran né Israele hanno alcun interesse ad allentare la trappola nella quale l’Occidente, Stati Uniti e Unione europea in questo caso uniti nella disgrazia, si sono cacciati.
L’alternativa è ora che Usa e Ue puntino nuovamente sul fronte arabo, in funzione anti-Iran. E cioè impegnino Israele a una vera trattativa di pace. Ma su questo punto è dubbio che Obama intenda ottenere risultati concreti: la sua apertura all’Iran è vista ora come una sostanziale continuazione – per un anno? per due anni? non è poco: la politica va avanti per i tratti in cui ci vede – sulla “convergente-divergenza” Iran-Israele.
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