Ridicolo rilancio, ma non senza significato, quello di un titolo che balza in poche ore del 50 per cento, pur essendo in crisi profonda e anzi strutturale. È successo mercoledì alla Rcs, l’editrice del “Corriere”, e vuol dire una cosa sola: che la crisi dei giornali non è temuta e anzi è apprezzata, se consente di “liberare risorse”. Tutta la stampa è in crisi, compresa l’editoria libraria, ma la Rcs lo è più degli altri, della Mondadori e del gruppo L’Espresso-Repubblica. Con un calo forte delle vendite, oltre che della pubblicità. In crisi quindi di prodotto più che congiunturale, per il cattivo andamento dell’economia. Le vendite del “Corriere”, già ridotte di un 12 per cento nel 2008, sono ulteriormente diminuite di un 10,4 per cento.
Il rimbalzo in Borsa si collega a un report molto positivo di Mediobanca su Rcs. Ma Mediobanca è la padrona di Rcs, gli investitori lo sanno. No, il significato del rimbalzo, opera senza ombra di dubbio anche di autorevoli partecipanti al patto di controllo, è che si punta a un relativo disimpegno della Rcs dal “Corriere” stesso. Per ora con la ristrutturazione, rompendo un tabù ormai quarantennale. Domani, con l’azienda in bonis, senza più gli oneri sindacali normativi e i condizionamenti politici ereditati dalla gestione Ottone negli anni di piombo, a scorribande proficue, più finanziarie che tecnologiche.
L’attesa è, come qualche azionista ha anticipato in consiglio, che l’azienda punti meno sulla vecchia identità del “Corriere”, pivot autorevole della politica nazionale, più o meno imbalsamato in una Fondazione, come si è fatto negli ultimi decenni, e più sulle tendenze di mercato. Nella diffusione ma anche nella redazione.
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