“Repubblica” apre mercoledì e giovedì drammaticamente su Berlusconi:
“Veronica attacca Berlusconi”, martedì, “veline candidate: “è ciarpame””.
“Berlusconi cede: via le veline”, il giorno dopo.
Martedì “Repubblica” aveva avviato le ostilità facendo la spia sulla visita di Berlusconi a una ragazza a Napoli che festeggiava i diciott’anni.
Erano i giorni in cui la peste suina contagiava gli Usa, e la Fiat comprava la Chrsyler. Anche il terremoto non era finito in Abruzzo.
Mai Berlusconi avrebbe potuto immaginare più interesse per le sue candidate belle e giovani. Grazie anche al grido di dolore di “Medea” sua moglie, con i figli al seno.
È “Repubblica”, faro delle sinistre, che crea la storia, l’avviluppa, e poi la scioglie, coartando i suoi lettori? O sono i lettori di “Repubblica”, compresa la moglie di Berlusconi, che vogliono queste storie?
Si può anche pensare “Repubblica”, nonché non più “Le Monde”, un giornale scandalistico. Giovedì completava la spiata con le foto della diciottenne, e di sua madre. Che Berlusconi, dice, chiamano “papino”. D’obbligo le ipotesi: è la ragazza figlia adulterina? è l’amante (lei o a madre)? o non c'entra la camorra (il padre)? Nessuna delle tre vera, direbbe Guzzanti figlio.
Ma se è così sia siamo solo all’inizio dell’ennesima storiaccia berlusconiana – si tratta di sbarrare a Berlusconi il Quirinale, per il quale ci vogliono ancora quattro anni. La Medea di Arcore potrà scrivere, o raccontare confidenzialmente, a “Repubblica” i suoi strazi di moglie tradita, le perversioni del marito, sadico, pedofilo, violentatore dei figli, gli assassinii perpetrati o ordinati, i conti segreti. Mentre “l’Espresso” avrà foto a profusione per l’ennesimo “corpo del capo”, il fotoromanzo berlusconiano, genere a grande richiesta.
La cosa non è senza lati positivi, se sovverrà alla crisi dei giornali. Inoltre, dà una cornice infine adeguata al grand-guignol che è la cifra della buonissima Milano, e forse ce ne libera.
Ma il rischio è forte che, il cappone Berlusconi ridiventando così gallo, la Medea-Veronica non ce lo imponga a vita. Scatenando il feroce antifemminismo degli italiani, e di metà delle italiane.
L’infanta di Spagna in visita a Parigi è celebrata su tutte le prime pagine di dietro, con la signora Sarkozy, mentre salgono le scale all’Eliseo – una foto lusinghiera, bisogna dire, anche se in diverso modo, per entrambe.
Ponderati articoli delle giornaliste più impegnate commentano la foto, sui diversi colori, tessuti, tagli, sarti, e i modelli delle scarpe delle signore.
Milano ha vinto l’Expo 2015 col programma “nutrire il pianeta, energia per la vita”. Dopo un anno e mezzo non ha fatto nulla, ma questo non importa. Diana Bracco, industriale farmaceutica, presidente dell’Assolombarda e della società di Milano Expo 2015 (Soge) spiega anzi al “Corriere” che è stato fatto moltissimo: riunioni in serie, “al limite dell’esaurimento per chi come me ragiona con la logica d’impresa”. Che tutto quindi va bene. E che saranno creati “settantamila nuovi posti di lavoro”. Nel 2150?
In genere non si parla dell’Expo, che Milano ha voluto a scapito del resto d’Italia, e per la quale non fa nulla, eccetto che litigare. Milano tratta molto soprattutto i problemi degli altri.
Dice il Procuratore Capo dell’Aquila in tv dopo il terremoto: “A parte che, se ci saranno illegalità, chi le ha commesse non sarà indagato ma subito arrestato”.
A parte che?
Viene spesso in tv il Procuratore Capo dell’Aquila e assicura che vigilerà contro le infiltrazioni mafiose nella ricostruzione. In una zona fra le più civili d’Italia, meno violente.
Bisogna “vigilare” contro la mafia per andare in tv? Anche i giornali, se “vigilano”, è contro la mafia. O per non dire che era meglio vigilare sulla costruzione interminabile dell’ospedale, su quella affrettata della casa dello studente, sulla ristrutturazione della prefettura?
Salvatore Settis passa la Settimana Santa sul “Tirreno” a vituperare, in quanto residente di quella cittadina, il sindaco di San Vincenzo per le villette a schiera. È stanco delle beghe ministeriali, a favore di ministeriali neghittosi, quando non impegnati a occupare graziosamente palazzi demaniali. Il sindaco, anch’egli democratico, risponde che l’ambiente è protetto, come no, ma lo sviluppo ci vuole.
Per chi San Vincenzo è un toponimo, in quarant’anni di transumanza su e giù per l’Aurelia, il luogo era verde e ora è ocra, del colore delle villette, come tutta l’Aurelia prima e dopo Grosseto e la sua provincia: Santa Marinella o Tarquinia, Populonia e San Vincenzo. È cioè la prova di un mistero: che un’istituzione, per giunta labile, la provincia, “faccia” il paesaggio, con le attitudini e la mentalità. Una differenza non c’era, poniamo un secolo fa, tra il grossetano o il viterbese, a Sud, e il livornese a Nord, ora è robusta.
Si moltiplicano nell’alto Lazio e in Toscana, nelle province di Siena e di Livorno, le colline coperte di villette a schiera, per lo “sviluppo popolare”, come abitazioni o investimento modico. Ma sono complessi sigillati, sempre intatti e muti: sono stati costruiti fuori tempo? Da trent’anni la seconda casa ha perso richiamo, per la scoperta delle vacanze in pillole dapprima, tutto compreso, invece della villeggiatura, e dall’infausto 1992 per le tasse.
È qui la tristezza che le colline occupate inducono. Non le villette al posto delle pinete, ogni paesaggio acquista personalità col tempo, e il bosco si ricostituisce. Ma lo spreco di risorse, compreso a questo punto anche il verde originario. L’incapacità di coniugare il sesto senso dell’iniziativa libera col bisogno di prevedere e programmare il futuro.
sabato 2 maggio 2009
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