Si leggono gli interventi degli ex Dc, dei vescovi e del Vaticano (anche se non di Bertone, cardinale forse un po’ più saggio) e si torna indietro di venti-trent’anni. All’incartarsi andreottiano della Dc, che diventò tutto e il contrario di tutto, e ha fottuto l’Italia. Che tuttora minaccia evidentemente, con gli impuniti qui lo dico e qui lo nego (“buttateli a mare”, mentre “siate dannati”), e i minuscoli cesariani capimanipolo delle sette o otto mini-Dc.
Dopo la parentesi di Ruini, un cardinale evidentemente d’eccezione, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, che giustamente diffidava dei vescovi italiani, e li mise in riga, bisogna guardarsi dai preti. Che hanno subito preso le misure e la mano al buon Ratzinger, un po' vecchio e un po' troppo intellettuale, intriganti come non mai. E si camuffano dietro gli immigrati, dei quali però non gliene fotte in realtà nulla, al più un pasto e un consiglio dalla Caritas, pagati lautamente dal Comune. Non per la tonaca, naturale, ma per il fatto che tutto scivola addosso, alle tonache come a ogni burocrate, per esempio quelli Onu, che solo devono salvarsi le anime, ne hanno infatti più di una, lavandosi le mani. Anche davanti alle mattanze delle Canarie, o al largo di Lampedusa.
I rimpatri forzati di Napolitano
Non sono i soli, il silenzio del presidente della Repubblica è anzi più di una loro predica. Di uno che inaugurò dodici anni fa, da ministro dell’Interno, i rimpatri forzati (cinquantamila lire, un pacco viveri, e via). E ha sulla coscienza, benché tutti rimuovano, lo speronamento nello stesso 1997, il 28 marzo, della motovedetta Kater I Radis, e la morte di 106 albanesi. Con plauso ammirato, la prima e unica volta nel dopoguerra, della Europa teutonica.
I morti della Kater erano profughi politici come altri mai, poiché si erano rivoltati contro il governo Berisha, che aveva depredato i poveri albanesi di ogni risparmio con le finanziarie fantasma, e ne fuggivano. Nessuna scusa fu chiesta, né da Napolitano né dal governo Prodi, e nessuna giustizia offerta ai morti. Se non piccole somme ai parenti perché rinuncino al processo. Che va avanti ma stancamente: dopo dodici anni è in appello, e si sa che si concluderà senza condanne.
Tutto ciò è parte di una memoria arteriosclerotica, sugli immigrati come su ogni altra questione. Di un paese che nella ignoranza sembra avere trovato approdo di elezione, dalla grande politica ai grandi giornali. Abbiamo avuto per un periodo un pieno di polacchi, ma nessuno che abbia detto o scritto chi sono i polacchi e la Polonia. Poi ci siamo riempiti di rumeni, ma mai nessuno che ne parlasse, della loro terra, della loro storia, la religione, la lingua, della alfabetizzazione, che è - era - alta, nei giornali, nei talk show, nelle chiese. Ora ci sono, più misteriose ancora, le ucraine, le moldave, terra incognita. O il Marocco, la Tunisia, che per tante cose vivono in simbiosi con l'Italia, per l'olio, li agrumi, la pesca, il turismo. O la Libia, di cui ci sfuggono perfino, dopo cinquanta anni di colonialismo, le dimensioni. Non è possibile parlare, in tanta ignoranza, di politiche dell'accoglienza. Ma i preti, come i politici, non ci sono per nulla.
Ipocrisia dichiarata
Di Napolitano si può suporre che se ne vergogni. Quella delle sacrestie è invece ipocrisia dichiarata. Se Napolitano tace, il suo successore al Viminale, Dc di razza, infatti parla. Beppe Pisanu denuncia sul “Sole 24 Ore” mercoledì “razzismo e xenofobia” nel paese e nel governo, che è il suo. Non è una novità, già al “Corriere della sera” del 2 febbraio Pisanu rappresentava “un problema razzismo che in Italia non rappresenta ormai più una deriva, ma un elemento normale”. Che non vuole dire nulla, solo l’amarezza di non essere più ministro. Perché Pisanu è ben lo stesso ministro dell’Interno che nel 2002 promulgò il decreto ministeriale che ha introdotto il fermo delle navi dei clandestini e il rinvio ai paesi di origine della navigazione, prospettando anche la forza, certo proporzionata alla offesa.
Bisogna diffidare dei preti e dei loro accoliti, ora che pensano di riprendersi i voti di Berlusconi e di tornare a prendersi, le sette formazioni ex Dc unite, o otto, quante sono le ex correnti, il governo. Più Fini, altro grande democratico (dopo Andreotti). Al quale dobbiamo la famosa legge che impone la clandestinità, poiché non si possono fare accordi di emigrazione con i paesi d'origine. Pisanu e il suo predecessore Scajola all’Interno, due buoni ex Dc, non solo non hanno avviato una politica dell’immigrazione, lasciandola ai carabinieri e alla Caritas, ma nemmeno quella necessaria dell’ordine pubblico. Quando i capimafia dell’immigrazione s’incontravano per i bar a Brindisi e in piazza a Crotone – e ora, s’immagina, sulla spiaggia a Lampedusa.
Il problema, lo sanno anche le pietre, è che l’Italia, il paese in questo momento in Europa a più forte flusso immigratorio, non ha una politica dell’immigrazione. Non sa di quanti immigrati ha bisogno, dove prenderli, come gestirli (integrarli). Nessuno in Europa ce l’ha, a parte la Gran Bretagna, che però da una diecina d’anni è insofferente, e mostra di subirla. La Germania, già da prima dell’unificazione, quindi da oltre vent’anni, aveva rinunciato alla politica dell’accoglienza, ostracizzando i “polacchi” e i “turchi”, dopo avere bene o male integrato gli jugoslavi, gli spagnoli e gli italiani. La Spagna, paese faro delle sinistre in Italia, ha una politica dell’immigrazione raccapricciante, con “respingimenti” di massa ed espulsioni ogni giorno a centinaia e a migliaia. Ma è dell’Italia che dobbiamo parlare.
Berlusconi, al solito, naviga a vista. Gheddafi, che vuole venire a Roma, per andare in visita dal papa e fare la pace con Israele, si riprende in cambio i clandestini che partono dalle coste libiche, e questo basta, Lampedusa potrà fare la sua stagione estiva di mare. I preti, che non hanno mai proposto e non hanno una soluzione, si fingono scandalizzati, per andare in paradiso. E si finisce che in Italia i cani hanno più diritti degli immigrati, con spese mediche deducibili per quelli di famiglia, e anche i gatti.
Il Vaticano vuole un’Italia multietnica. Dice, un assurdo nel mentre che non vuole scuole separate, arabe, islamiche. Un assurdo nel momento in cui il modello è in crisi in Gran Bretagna, che l’aveva adottato, dove ogni comunità è in armi contro la vicina. Se non è la solita malvagia disposizione a guidare il popolo sempre a mali passi. Certo, c’è il grande esempio storico degli Stati Uniti, che in questo momento sono tutti noi, grande faro di civiltà quando fa comodo, ma è meglio non aspettare duecento anni, e anzi evitare se possibile massacri, sia pure di indiani e non di negri, guerre civili, linciaggi in serie, e esecuzioni schiettamente razziste. Il Vaticano aveva adottato il multiculturalismo, dopo aver forzato l’inculturazione (neanche al Vaticano piacciono le messe vudù, con sacrifici di sangue), e ora finge di scambiarlo per multietnicismo. Che solo uno Stalin, forse, riuscirebbe a reggere.
Basta del resto lasciare il menefreghismo dei preti per sapere, si vede, ci viene detto, che il menefreghismo culturale è la non ultima delusione degli immigrati. Uno che mette in gioco la vita e il futuro non vuole ritrovare a Roma quello che con sdegno ha abbandonato al suo paese: l’esclusione sociale, il notabilato politico, lo sfruttamento delle donne, e sotto forma di carità l’indifferenza. All'ombrello dell'ipocrisia, i diritti umani. L’immigrato vorrebbe non senza ragione una pratica di soggiorno che non duri un anno e mezzo, un lavoro poco sfruttato, e possibilmente un letto in affitto non a ore, non a duecento euro al mese. L’Europa è per gli africani e gli asiatici la libertà nella dignità, non i sorrisi benedicenti.
I vescovi vogliono diritto d’asilo incondizionato. Per chi? Prosseneti, spacciatori, ambulanti? Loro lo sanno, loro non possono far finta che le folle ammassate ai porti libici, dopo quelli turchi e quelli albanesi, siano di poveri cristi che fuggono le dittature, e non invece semischiavi in mano a trafficanti di ogni bordo. Il diritto d’asilo è politico. Mentre quello che si vede, chiaro, irridente perfino, è un mercato, pagato dagli stessi schiavi. Della carne. Del letto a duecento euro, esentasse, in una camera con cinque letti, un lavandino e un gabinetto per due camere, dieci letti. O delle braccia in fabbrica e nei campi, altro che caporalato. Nonché, da venti o trenta anni ormai, degli ambulanti, per l’infinita produzione di falsi di Napoli, della Turchia e della Cina, della carne. Pagato il giusto, dicono i mercanti, giusto per pagare questa o quella protezione, dai visti alla buoncostume.
Giustizia è la Caritas
Si prenda il cardinale Tettamanzi, così sensibile alle foglie: perché non promuove una moschea decente per le centinaia di migliaia di mussulmani della sua arcidiocesi, invece di lasciarli in ginocchio sul marciapiedi a viale Jenner? Roma, per dire, senza fare storie, e senza fare la ramanzina a nessuno, gliel’ha fatta costruire e in parte gliel’ha pure finanziata - ma sospinta dalla politica. La concezione della giustizia per gli immigrati è un tozzo di pane alla Caritas. Non è affare della chiesa lo sfruttamento. Le organizzazioni che portano ogni anno in Europa questi milioni di schiavi, a pagamento. Non è cosa sua l’umiliazione delle code e delle carte infinite, per avere n permesso di soggiorno che a un lavoratore tocca di diritto. Solo i cinesi non fanno queste code, ed è inutile chiedersi perché. Non è cosa sua che centinaia di migliaia di lavoratori, milioni anche, non abbiano un contratto dopo cinque anni, dopo dieci. Compresi i tanti cristiani dell’India e del Pakistan fuggiti alla ferocia indù e mussulmana, e non possono nemmeno tornare indietro. Se tutti i camerieri in pizzeria e tutti i portieri di notte avessero un contratto la concorrenza non ne soffrirebbe, ci sarebbe più reddito distribuito, e il nuovo lavoro sarebbe nuova ricchezza – è elementare, ma certo non si può pretenderlo, i padroni guadagnerebbero meno. I diritti umani degli immigrati sono per la chiesa come quelli delle signorine che rappresentano l’Onu, a prescindere direbbe Totò. Sarà un effetto della verginità?
Senza contare il lato tutto italiano del traffico umano. Di cui Pisanu e Scajola, oltre che Maroni, non possono non sapere. Dopo venti anni di schiavismo tal quale, non c'è altro nome, i preti si fanno vivi. Si fannbo vivi quando, incapace di accogliere e integrare i nuovi schiavi come esseri umani, un governo finalmente decide almeno di interrompere il laido mercato. In tutti questi anni il Vaticano sicuramente si è chiesto, e anche i vescovi, come fanno prosseneti e dealers nigeriani, paese non confinante a anzi lontano alcune migliaia di miglia, a gestire comodamente in un ventina di città italiane i loro traffici, con migliaia di semischiavi e semischiave, a Livorno per esempio o a Genova, là dove le africane piacciono - Bagnasco, che è di Genova, sarà pure uscito qualche volta per strada: e perché non ce lo spiega, anche solo per compassione? Sa anche chi si procura, rifornisce e organizza le centinaia di migliaia di venditori ambulanti algerini, senegalesi e ghanaiani? Che vengono da tribù da secoli mercantili, ma vengono pure da enormi distanze?
Il Vaticano come il ministero dell'Interno. E se non lo sanno perché non si informano? Si controllano i telefonini di tutti, ma non quelli degli scafisti e dei loro compari a terra, dealers, magnaccia, caporali. Coraggio, Genchi, De Magistris, ancora uno sforzo.
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