domenica 21 giugno 2009

Aridatece la politica, cioè il governo

Il referendum avrà una larga maggioranza, se supererà il quorum. La scommessa è semplice per una ragione semplice: vogliamo un governo. Non sarà facile, anche con un voto al cento per cento concorde: l’Italia non dev’essere governata, nell’ottica dei poteri forti, referendum o non referendum. Per questo il referendum è stato oscurato con applicazione, con precisione al millesimo, con tutte le squillo che si sono reperite a Bari, offrendo loro l’immortalità sulle televisioni di Murdoch e sui grandi giornali, la settimana precedente il voto, giacché le squillo si confidavano a destra e a manca già da qualche mese. Per questo molti elettori sono scoraggiati e pensano: tanto, è inutile votare. E poi la Lega è contro, che con i suoi sofismi scoraggia il Nord, un terzo dei votanti. Ma questo referendum, con un presidente della Repubblica che ne riconosce la necessità, potrebbe non andare sprecato.
C’è una perfidia non tanto sottile dei poteri forti, che errore accantonarli, di “Milano” per intenderci, o degli interessi costituiti (uomini di denaro, giudici, media), di mantenere il paese in soggezione svuotando la politica. Che è essenzialmente il governo. Affiancati in questo da una succube scienza della politica, che ha perduto ogni dignità pur di partecipare al salotto buono, e almanacca sull’inesistente sistema elettorale perfetto.
Il partito della crisi da troppo tempo ormai, quasi vent’anni, gioca da alimentare l’instabilità col cambiamento in serie del sistema elettorale. Col solo fine di non consentire un governo che governi. Tollerano l’elezione diretta del sindaco e del presidente della Regione, ma a Roma non ci dev’essere un governo autonomo, che potrebbe essere efficiente. Con effetti deteriori molteplici – che un professor Sartori ben conosce e trascura, e questo dà la misura della violenza della disonestà imperante. Il più visibile è scoraggiare l’elettorato. Questo in Italia è riuscito poco: la forza di mobilitazione dei vecchi nuclei politici territoriali, sezioni di partito, parrocchie, circoli, resiste ancora. L’effetto più importante è impedire la formazione, o selezione, del ceto politico. Che in Italia per questo s’è impoverito in maniera impressionante, ridotto alle seconde e terze file degli ex partiti, alle quote rosa, ai mestatori. Senza progetto, senza equilibrio, senza capacità di mediazione.

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