Franceschini post-elezioni lo dice per tutti: “Non torneremo ai modelli di chi mi ha preceduto, anzi dei vecchi dirigenti del passato”. In chiaro: non solo Veltroni, nemmeno D’Alema prevarrà. Nemmeno sotto le spoglie di Bersani. Il partito Democratico non va, ma tre novità delle elezioni hanno rianimato la sua componente popolare: la sfida di Renzi ai “passatisti” diessini di Firenze; l’interesse della chiesa per una alternativa di centro a Berlusconi; la disponibilità dei voti di Casini. Il modello Renzi insomma contro il modello Serracchiani, fantomatico - senza contare che Serracchiani stessa è di parrocchia.
Renzi ha mostrato come le primarie si possano giocare contro il blocco di voto monolitico diessino. I vecchi dirigenti di Firenze gli hanno fatto mancare il primo turno, ma poi hanno dovuto votarlo compatti al ballottaggio: tutto l’assetto della città da loro gestita da decenni, con gli appalti eccetera, rischiava di saltare. In campo nazionale sarà più difficile, perché i diessini mostrano di avere anch’essi capito la lezione, e potrebbero non dividersi. Ma, poi, le primarie sono anche un fato di mobilitazione attiva, più che di organizzazione. E su questo aspetto un contributo importante i vescovi e le parrocchie fanno balenare agli ex popolari, ulivisti e margheritini.
Mobilitazione attiva alle primarie
L’attivismo della chiesa è a questo punto importante, più degli elettori di Casini, sui quali i bianchi del Pd non fanno molto affidamento. Nell’allentamento del vincolo vaticano col papato di Ratzinger, la chiesa italiana ha riacquistato il vecchio gusto e il privilegio di entrare a gamba tesa nei fatti politici. E d’altra parte ha mostrato nei ballottaggi di potere e sapere orientare gli elettori praticanti. A Milano città, e nella provincia di Torino e Venezia, facendo mancare i voti ai candidati di Berlusconi.
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