Non si saprebbe dare la misura dell’arroganza e dei privilegi della magistratura, l’unico ordinamento non defascistizzato, Livadiotti ci riesce. Non tanto per il profluvio di cifre e di scandali, già noti, quanto per il giusto piglio risentito. E più per essere parte del fronte (L’Espresso, Rcs) che assicura l’intoccabilità di questo scandalo. Questo libro e il suo autore sono importanti anche per quello che non dicono.
L’aneddotica è infinita sui giudici impuniti. Il giudice che fa intervenire al ristorante le forze dell’ordine (e le forze dell’ordine intervengono) perché il pesce non gli sembra fresco. Il giudice che le fa intervenire a scuola, al consiglio dei professori, perché gli sembra che vogliano dare a suo figlio la media del sette invece che dell’otto. Quello che mobilita i vigili urbani per trovargli “un alloggio decente” a basso prezzo d’affitto. O il giudice De Magistris, finalmente promosso alla sua agognata Napoli, dopo un lungo esilio a Catanzaro, a mo’ di punizione… O il giudice che nel 1999, dopo una lunga permanenza in Parlamento, tornato in Cassazione condanna l’esponente di un partito avverso. I casi sono talmente tanti che enumerarli, anche raccontarli, riesce stucchevole – Livadiotti ha aggiornato la casistica a metà aprile, ma già dovrebbe fare una riedizione: il mafioso del 41 bis liberato dal giudice a Palermo perché in depressione è un capolavoro. Ma bisognava dare i nomi. Loro li danno. E questo è un punto.
Ma il libro è importante per un altro aspetto. Dunque, la vera questione morale è la questione morale, di chi se ne è appropriato a propri fini, di carriera, di corporazione e perfino criminali. Ma c’è un ma: dove si colloca la stampa che denuncia-difende questo scandalo? Nell’azzeramento della politica, che è la vera colpa di questa italianissima questione morale? Questo è il secondo scandalo (o il primo: toglie efficacia all’opinione pubblica).
Forse per questo alcune cose mancano. Specie il processo mediatico, che ha sostituito gli assassinii politici, ma non è meno cruento, e sempre impunibile: un giudice può distruggere chi vuole con accuse false e fabbricate, tanto il processo si celebra dieci anni dopo che i giornali hanno emesso la condanna. Quando il finissimo presidente della Camera Fini impose il voto segreto sulla legge contro le intercettazioni e parte dell’opposizione votò con la maggioranza, la cosa fu solo registrata, in breve, dai notiziari. Mentre il ridicolo appello del sindacato dei magistrati all’Onu, come Livadiotti ricorda, ebbe le prime pagine, e non per dirlo ridicolo.
Non è una mancanza da poco, il processo politico è la forza di questa casta. Processi politici in quanto senza fondamento. Per fini anche scopertamente eversivi: il finto processo Unipol, per esempio, per allontanare Fazio dalla Banca d’Italia (lo aveva già fatto un giudice romano per conto di Andreotti, minacciando il governatore Baffi e arrestando il direttore generale della Banca d’Italia). O per coprire altri processi che non fanno. Il processo a Berlusconi per la Sme per non farlo a De Benedetti e Prodi. O quello degli ammanchi alla Rizzoli Corriere della sera, ben 1.300 miliardi di lire, incartato dopo una dozzina d’anni nella disattenzione, senza un solo atto istruttorio, perché la casa editrice e la Procura si proteggono, come nelle mafie.
Mancano anche cose che pure ci sono. Specialmente apprezzabile è in Livadiotti la denuncia del Csm per quello che è, il truogolo di tutte le infamie italiane. Ma bisogna anche dire che il Csm è stato protetto in tutte le sue manifestazioni, anche aberranti, da una lunga serie di vice-presidenti, fino a quello attuale, il senatore ineffabile Mancino, nonché da tutti i presidenti, fino al Ciampi amato. Tutti integerrimi, che si può dire di male di Ciampi?, e tuttavia il fumo del ricatto è forte. Allo stesso modo che nulla si può dire di Prodi, o di Veltroni, nei confronti della loro stella Di Pietro. Bisognerò entrare nelle attività di molte Procure e di alcuni Tribunali, che configurano una sorta di golpe permanente: la giustizia selettiva, specie negli affari milanesi, le moviole, i pentiti, le intercettazioni, il sofisma degli avvisi di reato imbattibile. Un filone pieno di storie vere e, purtroppo, vive.
Livadiotti, come Ferrarella, Rizzo-Stella e altri critici-difensori, si merita il dubbio della personale onestà. Non fosse che, nel fascismo, nessuno è mai fascista, tutti dicono le barzellette.
Stefano Livadiotti, Magistrati, l’ultracasta, Bompiani, pp. 261, € 17
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