lunedì 29 giugno 2009

D'Alema con Napolitano: meglio tenersi il governo

Tace il giudice Scelsi, sono ormai otto giorni. Tace D’Alema, dopo la vittoria a Bari e Torino e, politicamente, a Milano e Venezia, col ritorno di fiamma dell’elettorato di sinistra, diessino e non. Tutti si agitano attorno al Pd, eccetto il vincitore dei ballottaggi: D’Alema si segnala ormai da due settimane per tacere. Dopo aver dimostrato che il Pd conta qualcosa solo con la sua leadership, benché non dichiarata. Non dichiararsi fa parte da tempo ormai della strategia di D’Alema, il solo antagonista vero di Berlusconi tra gli ex Pci. E coincide in questa fase congressuale con l’esigenza principale del presidente Napolitano: tenersi stretto il governo, non correre avventure. La competizione deve ancora partire. Anzi organizzarsi per partire. Con il congresso del Pd, e forse ancora, data la confusione regnante, con ulteriori affinamenti.
D’altra parte, il recupero delle sinistre al voto dei ballottaggi, nel milanese, nel torinese, e dei vendoliani in Puglia, ha aperto una strada che D’Alema intende esplorare. Estesa al conterraneo Nichi ma anche a Bertinotti, perché no, molto segnato dall'esperienza senatoriale. Anche perché da sempre D'Alema si è ritenuto garante personalmente dei moderati, al centro e al centro-destra. E non condivide, anzi al suo modo apertamente disprezza, la corsa verso Casini al centro e i dipietristi a destra. Ma ricucire un grande movimento a sinistra richiede tempo.
Un terzo fattore potrebbe avere consigliato a D’Alema la pausa: il favore sospetto dei banchieri-editori. A suo agio nella svolta del “Corriere”, che ha apprezzato in più di un’occasione, sa però di essere sempre il nemico di De Benedetti, a cui si sarebbero aggiunti ora gli Elkann – tutti quelli che si fingono prodiani. D’Alema non s’illude che gli stessi giornali non demoliranno il Pd, questa è forse l’intelligenza che lo distingue, insieme con Napolitano, nel partito dei grilli parlanti. Specie se il partito dovesse superare la prova e rilanciarsi. Il “governo Draghi” sembra fatto apposta per confermarlo, anche se non per rassicurarlo, sulla determinazione della antipolitica.
Con D'Alema è naturalmente Fini, l'altro dioscuro della Seconda Repubblica. Che, non potendosi candidare a un governo in sostituzone di Berlsuconi, ha bisogno di tutta la legislatura per consoloidare il suo doppiopettismo. Ma non c'è altra politica in realtà che tra D'Alema e Napolitano, e Berlusconi, certo.

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