D’Alema si fa intervistare da Lucia Annunziata alla Rai e chiede che “l’opposizione sia nella pienezza delle sue funzioni”. Zoppicante, ma rivelatore: l’opposizione vuole un capo che sia all’altezza di Berlusconi, e questo sono io. Poiché nessuno lo candida, D’Alema si candida in proprio, stanco di far finta di girare attorno al potere: sarà candidato dell’ultima ora alle primarie, se ci saranno primarie, ma il congresso sarà il suo congresso. Già specialista di ribaltoni, si ripropone, e questo è il primo.
Nel Pd è l’ora di D’Alema. Che impone la sua presenza su ogni argomento. Rocciosa al confronto col velleitarismo e la frantumazione degli altri (piccoli) protagonisti. Anche lui sta al menu politico ogni giorno vergato da Berlusconi, come ogni altro nel Pd. Ma gli argomenti di Berlusconi usa per squinternare il poco che è rimasto del partito in cui s’è ritrovato senza granché volerlo: da Gheddafi al “complotto”, e al voto segreto sulla legge contro le intercettazioni – non manca nel Pd chi lo giura, a conferma del suo grado di dissolvimento.
Lasciare intendere che un ennesimo ribaltone sia alle porte anche nel governo - e questo è il secondo - dopo una sconfitta elettorale, non è un errore, è solo ricordare, poiché nessun altro lo fa, il suo capolavoro politico, di D’Alema segretario del Pds. Che di ribaltoni ne fece due, oltre alle elezioni vittoriose del 1996. Oggi come allora, altro ricorso, D’Alema si riaccredita protagonista insieme con il dioscuro televisivo Fini. E non nasconde, anzi fa sapere, che ha ottime fonti nei servizi segreti, naturalmente vigilanti per la democrazia, alla Guardia di finanza e altrove.
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