domenica 21 giugno 2009

Con la violenza si perde in Iran, Khamenei isolato

Ahmadinejad non ha vinto: dalle elezioni è scomparso, non riesce neppure a proiettare l’ombra di se stesso qual è sempre stato. E Khamenei, il vero presidente, potrebbe avere già perso, assumendosi come ha fatto apertamente il ruolo di parte. Come arbitro avrebbe potuto mantenere la sua dittatura politica, ora è uno dei due partiti in campo. Avendo contro praticamente tutti i grandi ayatollah, l'establishment di Qom. Per aver tradito il velayat-e-faqih, lo spirito della guida della rivoluzione, al di sopra delle parti quando esse sono fedeli, confessionali.
L’Iran non è un paese qualsiasi del Medio Oriente: ha una struttura sociale consolidata e un’opinione pubblica efficace. Islamica ma non cieca. Ed è un grande paese con una grande tradizione che non accetta la violenza come modo di governo. Lo sapeva perfino lo scià, che si è arreso praticamente senza combattere. Né c’è in Iran alcuna ipotesi bonapartista, come spesso è il caso nei vicini paesi arabi: non ci sono i colonnelli, i basiji, i pasdaran e le altre cinque polizie marceranno, ma solo agli ordini di una politica legittimata.
Il khomeinismo ha prosperato per trent’anni mediando tra le anime del paese, la passatista e la modernizzatrice. Sempre nella prospettiva di creare un grande paese con un grande ruolo, contro gli Usa come contro i cattivi vicini, Saddam, i talebani, i terroristi salafiti e qaedisti. Khamenei, forse per sentirsi forte dell’accresciuto ruolo di potenza regionale con la prospettiva atomica, ha forzato l’equilibrio politico a favore dell’intransigenza religiosa e del regime di polizia, e per questo non potrà durare. Si è esposto pensando di far rientare un modesto moto di piazza, ma così facendo ha rotto il suo ruolo di garanzia.
La scelta di campo di Mussavì, contro le disposizioni di Khamenei, è uno dei segnali della rottura. Ma più forte è l’isolamento dell’ala dura del regime negli ambienti religiosi, che di Khamenei sono l’unica forza. La catena delle celebrazioni del lutto, se non la forza dell’opposizione, trascinerà il paese per mesi nell’anarchia: il litto è "normale" in Iran, come lo è la morte, ma l'elaborazione del lutto è lenta, con i trigesimi e i quaranta giorni. E questo non sta bene ai bazarì, che sono il tessuto mercantile e finanziario urbano e sono stati il punto di forza del khomeinismo. Mentre gli ayatollah, religiosi di profonda cultura politica, sanno che potrebbe essere la fine del loro dominio.

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