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Freud – Ha creato un altro occhio sulla realtà. Una terapia che è una forma di conoscenza. Che la realtà però complica e non semplifica (spiega): è un’estetica, sotto le forme della mitologia, la storia, l’ermeneutica, non una logica.
L’estetica è una forma di conoscenza. Non razionale. Freud ha puntato sulla realtà un occhio non razionale. Molto attraente e quindi molto potente. Ma la sua terapia presenta come un fatto conoscitivo, semplificatorio e semplificante, obiettivo e quindi incontestabile, mentre è un teatro, sia d’immagini che di schemi dialogici: parlante-muto, lapsus, complessi, transfert – soprattutto di significati, ogni cosa significando sempre un’altra.
Come terapeuta è un santone e un ciarlatano. Alla pari dei neurologi e gli psichiatri ma senza i loro apparati statistici e le pratiche consolidate, solo parole in libertà e libere associazioni, e interpretazioni ugualmente libere. I casi tragicomici, i guariti suicidi. La povertà è testimoniata dal linguaggio: nessun concetto nuovo, se non formule ambigue e non significanti.
È buon scrittore, ma più spesso ai limiti del ridicolo: i sogni, i lapsus, i motti di spirito, Leonardo, Godiva, Mosè… È estremamente romantico sul versante maschile, Fliess, Adler, Jung (svenimenti, tradimenti), ha concezione sottilmente servile della donna e spregiativa (con l’eccezione di Lou Salomé, che però è ben “maschile”). Che non a caso “suicida”, acculandola al sesso. Riscrittore fantasioso dei miti, ma quanto impoverendoli!
Ridicolizza la ragione laica, fino al ludibrio – a volte, sembra, compiaciuto. Dando a intendere d’intronizzarla. Elimina ogni capacità di scoperta e gioia – l’unico self-help nel transito – per un grigio schiavismo, che tale è la terapia che mai libera. Il mondo avendo ridotto a colpa in ogni sua forma. Niente più famiglia (intimità, aiuto, società), niente amore, gratitudine, simpatia. Nulla più di gratuito e non egoista.
Ha annullato, con i suoi mitologemi, tutta la tradizione. Quella occidentale ma anche quella umana: ogni spazio di libertà. Sogni-sonni impianta mostruosi come quelli di Goya. In un mondo dissoluto: piatto e biagio. Dove solo campeggia – lui saprebbe perché – il sesso.
Gadda – Il barocco è parente del romantico, direbbe A.Huxley (Along the road, 104). E: barocco e romantico sono espressioni naturali della commedia: Ariosto, Rabelais, Nashe, Balzac, Dickens, Rowlandson, Goya, Doré, Daumier.
Bizzarra scelta. Ma più vera che non: nel barocco si esprime anche il semplice comico, dai maccheronici ai berneschi, e il modesto (ben educato) manierismo. È vera comunque per Gadda. Anche nelle due considerazioni complementari: 1) solo nei geni, Marlowe, Shakespeare, Michelangelo, Rembrandt, il barocco ha effetti seri; 2) in epoca più tarda l’effetto è grottesco: si tenta di esprimere cose tragiche con uno stile essenzialmente comico.
Gadda dove si colloca? Lo stile essenzialmente comico gli serve per dare dimensioni tragiche a eventi inessenziali - la vita in villa, i metronotte, le risposte sgarbate alla mamma… Mentre tace i grandi fatti: la guerra, la prima e la seconda, il fascismo durante il fascismo, l’anticomunismo dopo, una scelta pure precisa, l’omossesualità. Gadda veste in doppiopetto, è amico cerimonioso, è calcolato nel giudizio: il dato biografico – Gadda è borghese – è rilevante.
È un romantico, frenato ma inguaribile. Un sentimentale, anzi, la sua filosofia lo conferma. Tragico è il suo rapporto con le realtà, come per tutti i romantici (Manzoni escluso, che infatti non è romantico sebbene tale si dichiari). Che è in costante fibrillazione, se non in sospetto. Da un punto di vista esagerato: moralistico, razionalistico in senso stretto, perfino ordinatorio, oppure mistico. E sempre disperato, perché vissuto in modo “soggettivo oggettivante”, come quell’anguilla della natura.
Giallo – Non è la storia di un delitto di cui si trova il colpevole. È la storia di come lo si trova, aperta essa a ogni soluzione. Il giallo ha fortuna perché introduce nel delitto – che è sordido, è la cronaca grama e deprimente – la libertà sotto forma d’indagine, la fantasia, il fascino del metodo della scoperta. Sherlock Holmes, Marlowe, Poirot, Nero Wolfe, Pepe Carvalho prosperano perché moltiplicano l’inverosimile – Poirot, il migliore, è tre volte sorprendente, perché è insignificante e per di più belga, quando i belgi erano argomento di barzelletta.
Gli indizi non esistono. Non come segni di colpa. Anche nella diagnosi medica (molto si è scritto sugli influssi della pratica medica nelle deduzioni di Conan Doyle) l’anamnesi non porta in nessun posto: l’occhio clinico deve valere sopra gli indizi. La loro funzione è semmai di puntelli ex post, e ha carattere esplicativo (o giustificativo, ma allora è perché gli indizi non reggono bene). Lo stesso nelle indagini: l’inquirente sente il colpevole, e su questo costruisce l’accusa, ordina la caccia, preordina l’azione.
La colpa che non discende da flagranza di reato è sempre presunta. Anche quella che discende da confessione. È su questo, su questa area immensa d’incertezza, che s’innesta la fortuna del giallo, del delitto con colpevole.
Letteratura – Era ordine e conoscenza, è disordine (mercato: della lettura, della critica, dei segni). Di cui si dice che è un prolungamento (approfondimento) della conoscenza. Ma questa è sempre ordinativa, anche del disordine, del brutto, del male.
Lettura – Ridá vita alla scrittura.
Machiavelli - È il Plutarco dell’“ideologia” italiana: pettegolo anche, e accidioso, ma anarchico, avido di libertà. L’Ottocento, che ha disprezzato Plutarco, ha seppellito Machiavelli sotto le sue smanie, al storia erudita e la politica scientista – Machiavelli subisce ancora la tara di essere stato l’eroe del positivismo.
Tomasi di Lampedusa – “Il Gattopardo” è titolo fortemente connotato: è titolo suo o dell’editore? Cambia molto la lettura del libro. Se Tomasi pensava alla Sicilia in termini così fortemente critici, come ogni buon siciliano approfittatore di regime – appaltatore, gabellotto – o del circolo della caccia. O se era polemicamente addolorato per la scomparsa-non scomparsa di un mondo, la persistenza di un negativo.
Virtù – Non è rappresentabile, non si può narrare la virtù, il lavoro ben fatto, l’affetto corrisposto. Il lettore è un cannibale, un po’ invidioso, vorrebbe poter essere crudele, traditore, egoista, torturatore, almeno nell’immaginazione, mentre sta seduto, uomo nero, dark woman. La virtù che s’insegna del resto nessuno la pratica. Non nella storia, e quindi nemmeno nella poesia.
Il romanzo borghese, dei buoni sentimenti, è in particolare fatto di paraculaggini. Proust ne è pieno, Joyce, Musil, Céline – molte nel senso proprio del termine, non potendosi più infilzare, squartare, mozzare le teste, il bravo borghese si compiace d’improsare il prossimo, è tutta qui la voga dell’improsatura, in affari e nell’amore, dell’adulterio, della trasgressione - il buon borghese si vuole sadico per difetto, sadico in quel punto preciso.
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