L’effetto maggiore il filoislamismo di Obama l’ha avuto a sorpresa in Iran: la protesta di piazza del dopo elezioni nasce dalla consapevolezza, dentro e fuori il regime, che una sponda internazionale ora è possibile. Questa sponda non poteva essere l’Europa, che non esiste, solo gli Usa. E Obama al Cairo ha reso questo sbocco possibile, liberando gli Usa dalla interdizione "satanica".
La maggioranza degli ayatollah non è più con Khamenei, il vero capo dello Stato, e meno che meno col suo braccio destro Ahmadinejad, che è solo un capo del governo. Più che l’opposizione al regime, limitata, pesa il bisogno di rispettabilità internazionale all’interno dello stesso regime, fra gli ayatollah e il mondo mercantile che se ne fa scudo, dopo trent’anni di khomeinismo contro tutti.
Gli anti regime sono solo a Teheran, tra gli intellettuali, attorno all’università. Mentre i rischi di bonapartismo sono stati azzerati frantumando le forze armate e le forze di polizia. La parte prevalente del regime è però stanca dell’isolazionismo, e questo pesa. Esperienze di apertura tentate dalle presidenze moderate di Rafsanjani e Mussavì erano fallite: Teheran aveva puntato sull’Europa e questo spiega tutto. Obama ha ora riaperto l’opzione americana, che si è dimostrata l’unica che conta.
Non c’è naturalmente Obama dietro le proteste, né come bandiera. Ma aver dichiarato gli Usa amici dell’islam apre una serie di vantaggiose prospettive su tutte le questioni che impegnano l’Iran: la fine dell’isolamento economico, gli investimenti per il gas, l’Afghanistan, il Libano, la Palestina, e il ruolo dominante nel Golfo e nel Vicino Oriente.
lunedì 15 giugno 2009
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