“El Paìs” non ha mai scritto, né tanto meno ha pubblicato le fotografie, del re Juan Carlos che di notte scorazzava fuori dalla Zarzuela in moto a caccia di altre cavalcature. Né i giornali tedeschi delle quattro mogli di Schröder. E solo una parte delle nefandezze della famiglia reale inglese abbiamo saputo dai pettegoli giornali britannici di Murdoch, delle nuore, dei principini – solo la parte che interessa alla famiglia reale stessa, alla sua “democratizzazione” in quest’epoca di sballi ingloriosa. Che per questo peraltro è il solo a non avere avuto il titolo dalla Regina. Era baronetto anche Conrad Black, il canadese editore del "Daily Telegraph" finito in carcere negli Usa per malversazione - come lo sono i nuovi editori dello stesso giornale, i fratelli Sir Frederick e Sir David Barclay.
Né “Le Monde” né “Libération” né il “Nouvel Observateur” hanno mai detto di Mitterrand che nei suoi quattordici anni all’Eliseo portava le amiche di notte, per non farsi vedere dagli sbirri di palazzo, a casa sua, dalla moglie Danielle. La quale, benché non separata, ci viveva col suo proprio compagno. Tante famiglie diverse che Mitterrand manteneva peraltro tutte a spese dello Stato. O delle presentazioni di signorine a Sarkozy che si sono succedute nei lunghi anni del suo divorzio, comprese alcune ministre, fino alla scelta di Carla Bruni. O del pagliaccesco accordo dello stesso Sarkozy con la ex moglie, che doveva far finta di essere tornata per fargli vincere le elezioni. Del sindaco di Bordeaux Chaban-Delmas, che fu a capo del governo a Parigi, di cui nella sua città si diceva che avesse ucciso le sue quattro mogli, questo non si è mai saputo, nemmeno per sbaglio - ma è vero che aveva tutto per essere candidato alla presidenza, e non lo fu. Per non dire di Pompidou, che i giudici scacciò dall’Eliseo a calci nel sedere, con un editto che forse non è nemmeno passato per la Camera dei deputati - la quale comunque nella Quinta Repubblica non ha mai votato, non può, contro il Pdg, il combinato presidente-governo.
Di turpitudini molto minori succedute in Italia gli stessi giornali fanno invece gran caso. Il fatto non è senza rilevanza, e va spiegato.
Spazzatura
Piace in Italia “l’Italia malata” della “stampa internazionale”. L’Italia, facendo gli scongiuri, ancora se la cava nella crisi, un po’ meglio del resto dell’Europa. Ma tutti i giorni sappiamo dalla grande stampa che questo o quel giornale in Europa ha detto cose turche di Berlusconi, del debito, della crisi del made in Italy, delle ferrovie, del caropizza, delle veline, e della tv spazzatura, una volta finita la spazzatura di Napoli. “Ha fatto il giro del mondo” è formula di rito per quanto riguarda l’Italia, che produce solo porcherie, nei telegiornali Sky.
E' una forma di provincialismo. E di propaganda politica contro Berlusconi. Ma ha pretese di verità-obiettività, che è bene esaminare. Si parta da “Repubblica”, che nel fronte di questa censura internazionale ha un sito-archivio, dove il diluvio resta documentato. Spulciandolo, si scopre per prima cosa che “il giro del mondo” è limitato. E ripetitivo: l’esercizio è limitato a due giornali spagnoli, “El Paìs” e “El Mundo”, e a tre inglesi, il “Financial Times”, il “Times” e l’“Economist”. Più occasionalmente il “Guardian” e l’“Independent”, altri giornali inglesi, ma si sa che gli inglesi sono sempre maestri al mondo, di perspicacia, onestà, umorismo eccetera. Da ultimo con le banche di affari che li hanno portati, e ci hanno portati, alla rovina, ma di cui gli inglesi orgogliosi sempre si fanno scudo.
Il “Financial Times” è tutti loro: è un giornale che sempre si è fatto, e continua a farsi, senza nemmeno ipocrisia, con le banche d’affari, e con Murdoch, again. Lo stesso il settimanale. Per l’Italia l’informazione di questi giornali è monopolizzata dai “banchieri di Prodi”, Costamagna e i fratelli Magnoni, benché in bassa fortuna con la crisi, la crisi delle loro banche e dei buchi da loro stessi provocati. Il “Times” è di Murdoch. Ha cioè la stessa scanzonata obiettività dei tg Sky: attacca l’asino dove dice il padrone. L’“Independent” dipende da Murdoch, per finanziamenti più o meno noti. Che ha dedicato nel week-end due pagine, come il “Times”, a Berlusconi – chissà che goduria per i lettori britannici, non più adusi al giardinaggio.
Monopolio Murdoch
Nel caso di Berlusconi, i giornali di Murdoch sono diventati, come Sky Italia, alfieri della sinistra in Italia, e questo dice tutto sulla sinistra: non c’è editore più duro, gossipparo, velinaro, nel senso dei culi, di Murdoch – né più opportunista certo, Murdoch è ora un obamiano di destra, libero cioè di spernacchiare il presidente. Dice che lui non ha influenza sul “Times” e gli altri suoi giornali, ma solo per sfotterli, da australiano ha un complesso molto robusto verso la puzza al naso inglese. Del “Times” ha estirpato il personale e anche le sedi fisiche delle redazioni, modellandoli sui suoi gusti e le sue esigenze. La prima delle quali, bisogna riconoscerlo, è guadagnare.
Murdoch è anche uno di quei monopolisti che un tempo – un millennio fa? – si deprecavano. In particolare perché lo è, oltre che della stampa scandalistica, dell’informazione economica. Ha in fatto influenza sull’“Economist”, di cui è beniamino melgrado la cattiva fama, ed è proprietario del “Wall Street Journal”. Cioè “fa” quel mercato finanziario che ci ha portati nel buco nero della recessione. Nel caso dell’“Economist”, che in Italia si fa rappresentare da trepidi aspiranti a un posto di parlamentare sicuro quali l'ex Pci sa ancora garantire come al tempo degli Indipendenti di Sinistra, è noto a tutti che governa la City di Londra, in combutta col “Financial Times”, alfieri di quel capitalismo d’assalto che è sparito recentemente con tutti i capitali. Su questi giornali si pubblichino pagine sugli amori mercenari di Berlusconi e niente o poco della crisi - di cui, se proprio è necessario, si dice che migliora, mentre si sa che peggiora.
Diverso il caso spagnolo. “El Mundo” è del “Corriere della sera”, si muove in ottica milanese. “El Paìs” è un giornale socialista, ma non ha senso critico. È socialista di Zapatero, e quindi è la Spagna spagnola, quella manzoniana per intendersi, sbruffona, ridicola. “El Paìs” fa titoli come “Il fascismo di Berlusconi”.
Mercantilismo e disfattismo
Non è una novità, è anzi una costante fra i giornali europei, dare addosso al vicino. Si dice di solito che i giornalli sono vittime dei pregiudizi: il giornalismo è veloce, poco considerato, a effetto, e si scarica i nervi generalizzando e semplificando i suoi messaggi, secondo quello che il lettore ama sentirsi dire. Anche se, più che ila domanda del lettore, è di solito la offerta di un giornalismo che non sa dire altro: che l'Italia è mafiosa, che l'italiano è falso e bigamo, le solite frasi fatte. Che una volta erano prerogativa dello sciovinismo francese, sulle ali di Napoleone e l'impero, e poi sono passate all'Inghilterra, dove residuano, anche se l'impero non c'è più da un pezzo: così il "Guardian" può essere, come l'"Independent", guardiano inflessible dell'onestà pubblica. Ma non contro le ruberie britanniche, che solo il "Daily Telgraph" ha denunciato - per motivi elettorali: sono ruberie di laburisti e liberali. Senza che si possa obiettare: "La morale se ne infischia della questione morale" è precetto nobile di Pascal. Né c'è mai stato nulla di losco, per nessun giornale, tra le banche. Né, benché sia un concorrente, astuto e violento, monopolista, c'è alcunché da rimproverare allo "squalo" Murdoch. E naturalmente non si muore d'influenza, non in Gran Bretagna, semmai in Messico. Ma il giornalismo di oggi rispecchia un ambiente avvertito, che sa quello che vuole anche se non glielo dice - lo usa come un a mazza.
No, non è pettegolismo, e non è pregiudizio. È un aspetto purtroppo non unico del mercantilismo feroce di questa Europa unita. Lo stesso per cui la Opel non può andare a un’azienda italiana – la supponenza in Germania è almeno supportata dalla potenza. Nella crisi, ma anche prima, è un tutto contro tutti. Dove il feroce agroalimentare iberico da anni si affanna a soffocare la concorrenza italiana, che sottostà a controlli di qualità severi. Dove le feroci banche inglesi, se non fanno buoni affari (fusioni, incorporazioni, privatizzazioni più o meno finte, vendite, acquisti), sono più crudeli di Bin Laden: la genta la sgozzano in massa. Con i loro giornali bene informati, dalle banche stesse e da Murdoch. Dove la Germania non dà spago a nessuno.
Per un paio di secoli, da quando ci sono le gazzette e fino alla seconda guerra mondiale, i paesi europei (le potenze) si sono sempre premuniti pagando i vari giornali nei paesi concorrenti. Oggi questo non si fa, almeno non nella maggioranza dei casi, o non direttamente. Ma nel presupposto che l’Europa è unita, che i media sono liberi, e che gli interessi sono comuni. Tutt’e tre falsi. Il mercantilismo è tutto, guadagnare qualcosa a danno del vicino. Non solo sul parmigiano, di cui si imita il colore e l’odore, oltre che il nome, ma in generale, dal calcio alle puttanate. La divisissima Spagna, per esempio, si ritrova una nazione contro l’Italia – come se l’Italia ci fosse. Gli inglesi con le pezze al culo, nuovamente, non hanno che supponenza nei confronti degli arricchiti italiani – che non sanno di esserlo.
La critica del vicino è un’arma impropria, ma è anche spuntata: niente di più che un (sano) pettegolezzo. Se non è introiettata, non è cioè fatta propria dalla stampa del paese che si attacca: in questo caso diventa velenosa, e anche pericolosa. È la famosa “pugnalata alla schiena” inventata dai tedeschi per spiegare perché perdevano le guerre. Ma non senza verità: una risata su Berlusconi in Francia è fine a se stessa, ma se fa cadere il governo in Italia, il governo appena eletto, allora è micidiale. E molto spesso non è più innocente: non è un attacco a Berlusconi, è un attacco all’Italia. È il caso del “Financial Times” e dell’“Economist”, i cui padroni (Murdoch nel secondo caso) e i cui soci occulti (alcune banche d’affari nel primo) tengono l’Italia sotto scacco, sia essa di Berlusconi come di Prodi, per guadagnarci quello che vogliono.
Altrimenti zitti e muti
Questo potrebbe essere irrilevante, e nella normalità dei casi lo è. Quando Murdoch, “l’australiano”, figlio cioè di galeotti, metteva in berlina la casa reale, gli inglesi sghignazzavano e se ne fregavano (ma è vero che Murdoch ha avuto in Inghilterra tutto quello che ha voluto, ma proprio tutto…). “El Paìs”, per dire, scrive di Berlusconi più di quanto abbia scritto del suo re Juan Carlos, 94 pagine online, 937 titoli, fino a venerdì, contro 78 pagine e 781 titoli. Non per vendere: Berlusconi non è un soggetto molto cliccato, viene tra i tanti, dopo la disoccupazione, il debito, i viaggi, e perfino dopo Sarkozy. “El Paìs” è socialista, del socialismo affarista e libertino di Zapatero, e Berlusconi è un falso scopo per nascondere le lacrime. Ma la cosa non finisce lì, se all’ignaro italiano viene presentato come un vangelo. Se è la vecchia propaganda di guerra, o disfattismo attivo.
Il disfattismo è paranoico, e segno di debolezza, ma è un fatto. Un’insidia, che viene alimentata artatamente. Come tale è presa in considerazione peraltro e studiata da eminenti studiosi nella prima guerra, e poi con più perspicacia a partire dal Marc Bloch della “Strana disfatta”. È anche evitato con cura, questo bisogna saperlo, dai grandi giornali della rubrica di “Repubblica”, nelle cronache domestiche. Anche se sono cronache di ruberie (Gran Bretagna) o speculazioni impunite (Spagna). Senza calcoli qui di copie vendute e opportunità politiche: certe cose non si dicono per principio, non in casa.
Nessun commento:
Posta un commento