mercoledì 29 luglio 2009

Il mondo com'è - 19

astolfo

Antifascismo - Cesare Pavese, sollecitato a partecipare alla scuola ebraica doo le leggi razziali, non rispose. Pavese e Bobbio non gradivano essere considerati antifascisti.

Austria - È bizzarro che il mito dell'Austria Felix rinasca, senza essere una moda culturale, e si allarghi. Anche a Milano e Trieste, come crogiolo d'intelligenza e modernità, tra Otto e Novecento, senza ricordane su questo versante le ambiguità.
L'Austria è la prima reponsabile dell'orribile Ottocento, più della regina Vittoria e di Napoleone III: delle censure e le polizie politiche, delle continue ripetute rivolte obbligate per ottenere diritti minimi, e del terrorismo. Soprattutto in Italia, nei suoi domini e negli stati da essa controllati, il papato e il napoletano, i ducati padani, e perfino la Toscana. L'Austria è la responsabile primaria dell'imbastardimento della politica italiana - della politica contemporanea e del Risorgimento, dopo la morte precoce di Cavour.
La stessa fioritura musicale che si ascrive a merito dell'Austria avviene, tutto sommato, malgrado Vienna. Haydn, Mozart, Beethoven operano a Vienna solo grazie a protettori ungheresi, tedeschi, russi, italiani, misconosciuti dal pubblico e maltrattati dalla corte.

Barbarie - Non esiste - disse il barbaro.

Comunicazione - È trapassata ad aggressione: ognuno lancia se stesso contro l'altro, millantando, commiserando, esponendo, ma sempre e solo se stesso, le proprie disgrazie e i propi successi, le fobie, le malattie, le grandezzate, le pene d'amore e familiari, le ansie per la fine del mondo, e l'astio sempre contro gli altri. È una forma di misantropia, aggressiva: tutto degli altri è irrefrenabilmente soggetto a critica o lamento, la passione politica o l'abbigliamento, il portamento, le relazioni, l'attività, lo stile di vita, e anche il tifo calcistico.
La più invasiva è quella dei media. Un colloquio si può sempre rifiutare, o una conversazione in treno, anche con la prenotazione obbligatoria, i media no La pubblca esposizione per molti anni è stata una condanna e una pena, la gogna, ora è un privilegio e un vantaggio: esponendosi, ci s'impone. Discrezione e pudore non sono virtù, e anzi non sono, se non per snobismo.

Cristo - Storicamente, è l'interruzione del rapporto, filosofico, poetico, con la natura. Nel linguaggio, nella logica, nei riti ha senz'altro mediato l'Oriente per l'Occidente pagano, greco-romano. Ma come figura storica ha interrotto la naturalità dell'esperienza umana.

Democrazia - C'è ipoteticamente, in natura, dove i singoli all'interno della specie sono identici e fungibili, e le stesse specie lo sono, morfologicamente e come "valore". Nella società è un derivato, un voler essere.

Duemila - L'uomo del Duemila non c'è. Bush, Gore, Obama sono manichini. Sono di cera i divi del cinema, anche le dive, e dello sport.
La donna c'è ancora, ma è confusa.

Heidegger - Se il filosofo fu nazista è questione oziosa, poiché lo fu - e malgrado tutto non ci ha tenuito a rinnegarlo. Non oltranzista. Fu antisemita ma, come tutti, vergognandosi della Soluzione Finale. Fu un nazista sconfitto. non c'è dubbio, neppure minimo. Ritenne il nazismo la politica della sua filosofia. Lo argomentò a lungo. A lungo tentò d'imporla a Hitler.
Il "Discorso del Rettorato" va riportato a quella che era - la proiezione sociale - la filosofia di Heidegger all'epoca, in Germania e in mezza Europa, all'università e tra i giovani studiosi, a quello che era, figurava essere, Heidegger, filosofo appassionato e antiaccademico, innovativo e quindi aperto, impegnato e quindi onesto. Cosa che la "volpe" non era. Ma è da quell'immagine che si misura, in negativo, l'effetto e il peso del suo schieramento con Hitler. Il "Discorso" è tanto piatto quanto inequivocabile. Il filosofo è, Heidegger-Platone, politicamente ingenuo, come ogni militante della politica, cioè dilettante e entusiasta. Il tipo che si ama e si apprezza se ci si riconosce.

Heidegger ha riaperto la filosofia, il libro della filosofia. Dopo i divincolamenti di Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, e le rassegnate riedizione di kantismo, platonismo, scolasticismo, hegelismo, marxismo perfino. Riapre tutto il campo cambiando il modo di filosofare: aprire tracciati invece di delimitarli. Il modo d'interrogarsi e il tipo di risposte da cercare. Tutta una nuova maniera d'essere, per la filosofia, e una nuova strumentazione, la terminologia - le categorie. Ma vi introdoce il sentimentalismo, della terra e la tribù, della tradizione, dei sentimenti stessi. E forse ha già lasciato solo macerie, malgrado la monumentalità dell'Ausgabe.

Illuminismo - È un chiarimento di varia specie. C'è quello della ragione, come s'intende in italiano, e quello della magia e del mistero, come s'intende in francese. Ma c'è un'ambivalenza anche nel nostro illuminismo, non basta, non serve, dimenticare Cagliostro: Illuminati dalla magia furono in Italia prima che altrove, in Scozia, Baviera, praga, eccetera.

Ineguaglianza - È come la libertà, è uno spreco, ma non ce lo possono togliere.

Obama - Nella "nascita" improvvisa, nel portamento, sempre uniforme, mai appassionato mai stanco, nella medietà, e anche nel fisico, sembra l'Impersonificatore del Nuovo Impero Americano, la creatura di una segreta regia di androidi. È da lungo tempo ormai, da una ventina d'anni, che gli Usa governano il mondo con la fredda distanza dell'impero delle "Guerre stellari" alla Lucas. Sempre impegnati in una qualche guerra, anche in due e tre guerre insieme, con eserciti dei cui effettivi non si curano, anch'essi robotizzati, nell'inverosimile affardellamento delle foto di guerra, remoti gestori di un impero che non considerano e non conoscono, e solo identificano per le coordinate geografiche. Al comando di un clone che si è chamato Clinton, e poi Bush, e ora sembra proprio Obama.
Una politica altera e remota, freddamente bellicosa. Dalla guerra del Golfo, ma già da prima, dalle guerre stellari di Reagan. E la guerra ha portato negli omonim film alla Lucas, tirandola fuori dal diritto internazionale e dalle umane sofferenze. Vi si muore, e anche in grandi numeri, ma si intendono le guerre come delle lezioni, da dare a questo e a quello, sulla base di un titolo non dichiarato ma ovvio. Già nel 1969 Ballard immaginava il suo paese desertizzato in una vaga resistenza contro gli Stati Uniti, che lo occupavano senza una ragione detta, e il suo paese era la Gran Bretagna. Obama, il Grande Capo più umano di questo Impero, ha perfino la sagoma del perfetto androide, che parla come l'aquila dello stemma, guardando da destra e da sinistra (in realtà legge i messaggi prefabbricati dalla Forza Oscura....), figlio di un africano uscito dal bush e ivi scomparso, di una fattrice bianca di cui altro non si sa, educato nelle lontane Hawai da vecchi saggi, in figura di nonni...
C'è un unilateralismo non dichiarato ma indiscusso, piano, nei fatti, della politica americana. Se non dalle guerre stellari di Reagan, da Tienanmen e dalla caduta del Muro, dal fatidco 1989 che ha segnato il crollo dell'impero del Male, e Obama venuto dal nulla ne è interprete da copione. C'è l'indifferenza a Tienanmen, in pieno regime dei diritti umanitari, e anzi "l'asse con la Cina". Sostanzioso, giacchè metà America può fare la spesa solo con i prodotti cinesi a basso prezzo, ma anch'esso parte della politica dei riflessi muscolari, senza alterazioni sanguigne e senza cuore. L'ignoranza dell geografia, e l'indifferenza, non è una novità in America, grande paese continentale, che basta cioè a se stesso. Ma perduto è ora il senso del diritto, che bisogna dire vigoroso finché serviva all'America per scuotere il Vecchio Mondo. Apparentemente, è questo un esito della politica dei diritti umani, che ha soppiantato il diritto di non intervento. In realtà, non c'è una guerra umanitaria, c'è un non dichiarato diritto d'intervento, per ogni fine, anche non "buono", e a nessun effetto, se non, il più spesso, peggiorativo per gli stessi diritti umani. Partendo proprio dalle bombe intelligenti, che hanno sostituito il combattente, anche se muore solo questo, e magari sprigiona radiazioni mortali, di cui non vale nemmeno parlare.

Sessantotto - È stato l'estrema torsione del progetto laico, di tutto crearsi e assoggettare: la libertà, il desiderio, l'amore, la rivoluzione.
Illuminista? Non è un movimento intellettuale - senza contare che dopo l'illuminismo ci sono stati, ben popolari, Schopenhauer, Kierkegaard, Niezsche. È cultura materiale, e di massa. È il capitalismo, la cui essenza è l'attivismo, l'aspettativa della crescita. Dalla scuola al femminismo, dalle istituzioni alla coppia, e al rifiuto della guerra, dappertutto la tensione è all'innovazione, anche radicale, utopica. Non c'è un obiettivo e una meta, un modello, un'ideologia sistemica, ma la tensione, e quindi la certezza, di creare se stessi. Per questo è stato detto generazionale mentre non lo è, è un movimento di massa.
Culturalmente si sostiene col neo scientismo (Freud, Debord, Basaglia, Laing, i "Grundrisse") e con i buoni propositi (di nuovo i "Grundrisse"). La sua utopia è quella immediata, realistica, del capitalismo, o dell'efficientismo - la fantasia al potere si vuole produttiva e non eversiva. Per questo è anche semplificatore.
Il Sessantotto come punta o freccia del capitalismo - dell'ottimismo della volontà, nel suo movimento ascensionale: non è una trovata, è un fatto.

Rivoluzione - È borghese - di quando c'era quindi la borghesia, una con un progetto. È infatti ordinata in un progetto: regolata, progressista, secondo una logica cioè costruttivista, di accumulazione.
Ma è vittima dell'Ottantanove. Che ha gettato la maschera on Bonaparte. Per tornarte a Luigi XVIII, monarca mezzo costituzionale. Si dice: la rivoluzione si stanca. No, si svena. Dopo l'Ottantanove è la norma, la dissipazione - l'Ottantanove è l'"invenzione" più riuscita dell'ordine costituito.

astolfo@antiit.eu

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