Non c'è spazio per una guerra civile in Iran. Ma non c'è nemmeno la possibilità per il regime di marciare disunito. Khamenei ha impegnato il regime a difesa del voto, ma non è riuscito ad avere ragione della protesta. Questo ha aperto una falla che lo travolgerà. A opera degli ayatollah, per evitare che lo faccia la piazza, travolgendo a quel punto l'intero regime islamico - degli ayatollah cosiddetti conservatori. Le elezioni presidenziali hanno divaricato e rotto la tenue dalettica interna con cui il regime è riuscito a prosperare fìno ad ora, una sorta di Democrazia Cristiana di governo e d'opposizione, solo un po' più confessionale, con i religiosi allo scoperto e anzi in primo piano. Gli stessi religiosi che ora in sempre maggior numero rimproverano a Khamenei la rottuta dell'unità che ne faceva la forza. Il khomeinismo ha solo la forza dell'unità, una pratica consolidata ormai da trent'anni, e di ardua modifica per il regime, almeno a giudizio degli ayatollah. La forzatura di Khamenei sulla rielezione di Ahmadinejad, mal condotta, dovrebbe ora riassorbirsi con un cambiamento di vertice, forse dello stesso capo religioso del Paese. Fra gli ayatollah l'opinione prevalente è questa, anche se più fra i grandi ayatollah di Qom più che fra i politicanti di Teheran.
Non è in contestazione la scelta di riconfermare Ahmadinejad, che molti riconoscono quasi dovuta per Khamenei, come il governo giusto per confrontarsi con la dura contestazione internazionale, quale che ne sia l'esito. Sotto critica è la scelta di campo di Khamenei a fronte della contestazione politica della conduzione delle elezioni, che avrebbe indebolito il regime. In predicato non è la candidatura Mussavì, quanto la capacità del vertice religioso di garantire l'unità del paese.
Tra un frazionamento dell'unità, senza precedenti nel khomeinismo, e l'ipotesi di un indebolimento irreversibile del regime, la prospettiva ha gettato gli ayatollah nell'angoscia. Non era mai successo prima. E l'unica via d'uscita sembra un rimescolamento al vertice religioso, fra i Guardiani della Rivoluzione: in pratica la sostituzione di Ali Khamenei.
Del rivolgimenento che si prospetta Ahmadinejad sarebbe la vittima minore. In sé ininfluente, non fosse che la sua sostituzione si inquadra nell'esigenza, da molti influenti religiosi sentita anche prima delle elezioni, di portare l'Iran fuori dall'isolamento internazionale. Che l'elezione di Obama e il suo messaggio all'islam hanno consolidato.
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