giovedì 23 luglio 2009

Letture - 11

letterautore

Arbasino - Dà vertigine da claustrofobia. Anche nei viaggi. Per il citazionismo? Perché ripropone le nove Troia, una archeologia affollata e mai decisiva: di ogni spettacolo o mostra rivangando le esperienze di quaranta anni prima, ma forse sono già cinquanta, e le cose - chi disse che, e cantanti, scene, costumi, orchestre, maestri, divine - che (non) ha accumulato nella sua vita. È come se fosse alla ricerca di un suo essere, che naturalmente deve avere rifiutato.
Forse per questo ha sempre avuto amicizie sbagliate – o è lo snobismo che fatalmente accende più snobismo? Non piaceva al gruppo dirigente di “Repubblica”, giornale nel quale invece si riconosce, e che i primi tempi frequentava assiduo: chi guardava in basso, chi tossicchiava, chi quando usciva faceva il gesto dell’improsare. E tuttavia non era rifiutato perché gay – il gruppo dirigente del giornale era Pci, o comunque del compromesso.

Commedia all'italiana - Mima gli eventi quotidiani. Per questo in fastidisce: non "libera". Non tracca un altro eprcorso, non alla conclusione e nemmeno in the making.

Confessione - Si dice di Goethe che le sue opere sono frammenti di una inesausta con fessione . Di che? La sua confessione è la sua opera: non si sa se l'opera confessa la vita, oppure la vita confessa l'opera, la pulisce-lima-...

Dante - La "Commedia" come intrattenmento, anche se senza musica. Dante voleva "cantare", con la metrica di cui era maestro, con il ritmo, i suoi casi, i person aggi, le dottrine. Altrimenti avrebbe scritto l'ennesimo trattato.

Goethe - Ottimo narratore, in versi e in prosa, anche scientifica o di moralità, si blocca su Faust. Al quale, avendogli dato per amico il diavolo, nientemeno, fa poi utulizzare questo enorme potenziale per adescare un a segretaria, inesperta - forse, le segretarie sono subdole.
Di questa melensaggine pretende di fare tragedia - o: la melensaggine sta nel volerne fare "tragedia". Per i greci la tragedia viene con la bellezza. La collocavano n luoghi scelti per l'indicibile bellezza, tra cielo e mare, all'ora fresca del tramonto. Non ne abbianmo una necessariamente lugubre e declamatoria.
Goethe, se non vi si fosse incaponito, avrebbe sicuramen te saputo spiegarci il perché.

Narrazione - È un fatto privato: un teatro personale. È fantasmizzare, per se stessi.
È una rammemorazione. Anche l'invenzione: è richiamo di ciò che si sarebbe - e non si sarebbe - voluto.
È interpretazione: l'ermeneutica della-le realtà.

Non può che essere veritiera: tout se tient. Se è bugiarda crolla.
Certo pone il problema di cosa sia la verità e cosa la menzogna. La narrazione non può essere bugiarda Può essere reticente, deviante, truffaldina, ma in sé è sempre veritiera, questi sono modi di essere della verità. Poiché la verità è la realtà. Bugiardo è il tentativo di travisare i fatti, sempre deliberato, consciamente o nell'inconcscio. Questo è evidente nella narrazione giornalistica, benché camuffata sotto l'opinione pubblica, grande ambiguità.,

Robinson - Impara attraverso la tecnica: conosco facendo. Mentre si sa che si conosce imparando - l'orgoglio intellettuale è tutto qui.
L'uomo della natura di Rousseau invece nasce imparato. Ma Robinson non fa male a nessuno, a differenza della pedagogia del pazzo Rousseau.

Romanticismo - La sua natura è l'anti-natura. È per questo ritornante, una volta rotta - dal Cristo - la natuiralità della esperienza umana.

Il romantico è un introverso, che riempie il mondo del suo "troppo pieno". Il verbo è quello di Rousseau: "Il mondo delle chimere è il solo degno di essere abitato". Si dice di lui che ama la natura, e invece ne ama il mito - la natura è piuttosto realusta, piena d vermi anche e di polvere.

Salieri - Un nemico che tutti vorrebbero. Che tti dice. "Tu, Mozart, sei Dio, senza saperlo".

Scrittura - Si scriveva per dire. O per non dire. Che, comunque, è una maniera di dire.

È mimo povero - standardizzato, legato dalla grtammatica e dalla sintassi. Rispetto all'abbondanza della narrazione, alla libertà del gesto e del suono, la mobilità, la polisemia - suon o e gesto conservano la com plessità dei primi linguaggi.

Sherlock Holmes - È l'Arcangelo Gabriele. È l'indizio che crea il crimine nel giallo sherlockiano. Si dice il detective un semiologo, un "induttologo", il quale da un mare e una montagna d'indizi scevera la contraddizione e quindi il crimine. Invece no. Sherlock Holmes sa già la verità. Il suo indizo è il sintomo, di cui condivide l'ambiguità - riflesso dell'esperineza di Cona Doyle medico, il medico di un tempo, che operava con l'occhio clinico, e non lo specialista. Sherlock Holmes partecipa dell'esplicitazione del sintomo-indizio, e decide la terapia-giustizia.

Stendhal - È russoviano in ritardo. Ha la stessa gioia della scoperta, e la furberia degli adolescenti eterni. Cristallin peraltrop quan do si esprimono, scrittori sempreverdi.

Stupidità - Una sua forma è lo studio della stupidità.
Jean Paul, giustamente, ne fa l'elogio, come ogni comico: il comico vi è irresistibilmente attratto, l'autore e l'attore, proprio colui che, esercitando il distacco - l'ironia, la beffa -, vi è più allergico, se non altro per paura, e dunque, la comicità ha da spartire qualcosa con la stupidità? È una barriera che si eregge, contro la demenza, e contro l'ovvio.

letterautore@antiit.eu

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