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Baudelaire - Il dandismo come forma attraente (presentabile) di misantropia. Per lui e per gli interlocutori: parenti, editori, direttori, amici, scrittori, artisti.
Céline – L’impuro del puro. La malvagità del buono, l’autore del roman communiste della Francia – così il “Viaggio” per il comitato di lettura Gallimard nel 1932.
Come i buoni sentimenti (l’odio della guerra, dei prepotenti, dei parolai, dei profittatori, dei furbi, delle consorterie , massoniche, ebraiche, degli ipocriti – i comunisti) possono degenerare in mostruosità. Non basta il buon motivo: le passioni vogliono essere temperate.
Che rapporto c’è fra il principio – la buona ragione – e la realtà, la storia? Perché ottimi fini possono degenerare in pessimi effetti? Per errore. Ma cosa porta all’errore? L’immaturità, o impreparazione: per superficialità, studi scarsi, aggressività. Ma si può essere impreparati, oltre che per difetto, per volerlo essere, perché si è scelta una via di non compromesso: intransigenza, radicalismo. Non c’è bene dunque se non nel compromesso, mediocre, senza eroi, impuro, non accettabile? E funzionale – a misura cioè della storia.
È la disperazione coerente. La coerenza non è il silenzio (lo è in uno dei personaggi del “Viaggio”, ma fa ridere), è la disperazione stessa, la distruzione. Céline, che vive la vita tragicamente, va fino ad autodistruggersi.
Porta anche alla disperazione: troppo conseguente moralmente, troppo abile scrittore.
È lo scrittore tragico del Novecento. Ha scritto un “Inferno”, l’infamia dell’universale. Si applica ai temi del genere epico (guerra, tradimento, amore, crudeltà), cioè alla morte, e la concelebra in tutte le sue forme, comprese quelle contemporanee dell’autodistruzione: l’abisso proprio e della Framcia, gli odi e gli scheletri nell’armadio del dopoguerra.
Ha la scrittura del secolo: interrogativa, ansiosa, violenta e trattenuta allo stesso tempo, indagatrice e assertiva – minacciosa. Ne narra, anche, le vicende: la prima guerra, i tradimenti intellettuali tra le due guerre, la seconda guerra, il collaborazionismo, le imposture del dopoguerra. Ha la sua buona parte di storia familiare, adolescenziale e atroce, della mamma in mancanza della zia, ma storicizzata e perfino sociologizzata, il muro intesse e ricama solido.
L’antisemitismo (Rodinson, Cattaneo, Yergin…) è parte della reazione romantica contro il capitalismo e la modernizzazione. In Céline no, è duro e refrattario: è parte dell’odio piccolo borghese, che Céline stesso ripetutamente narra, per ogni forma di potere, sia pure di facciata (carriera, modi di vita). Che è il substrato della società francese, al fondo di ogni sua crisi politica, e a metà degli anni Trenta si esprimeva nell’insultante “meglio Hitler che Léon Blum".
Céline è razzista. Ma non disprezza l’ebreo. Il suo disprezzo va all’“inferiore”, allo schiavo, all’africano incivile. L’ebreo lo odia. Se ricco, e per il senso di esclusione che genera.
L’odio dei massoni come quello degli ebrei. E l’odio della sinistra politica, del radicalsocialismo, come conseguenza dei due. Si resta sempre nel mal di pancia piccolo borghese, il complesso di esclusione. Seppure non senza fondamento: la massoneria nella Terza Repubblica è stata invasiva, e tipicamente elitistica (sono la Terza Repubblica e la scimmia italica che giustificano gli studi di Mosca, Pareto, Sorel). Ma c’è una causa specifica.
La leadership è più (ri)sentita se si basa su premesse intellettuali, di conoscenza, di fede, di etica. L’intelligenza è il bene che si presume più democratico. Non lo è, basandosi sull’istruzione, la tradizione, la tribù, ma ci gratifica con l’illusione di esserlo. Atteggiata in forme snobistiche perde il sapore ludico, e se si occupa di politica e fatti sociali, si manifesta come irritante irresponsabilità (Thomas Mann si irrita molto di più per molto meno con la famiglia ebraica della moglie in “Sangue velsungo”). Atteggiata in forma di circolo ristretto, è la negazione di se stessa.
È un don Chisciotte reale, quindi tragico. Un millenarista (catastrofista) da fine secolo – una categoria che viene posticipata, il secolo si conclude in genere con gli auguri. In “Morte a credito” l’ironia sulla tecnica che non decolla è la constatazione, amara, non compiaciuta, della “fine” del secolo.
La lingua asintattica vuole riprodurre ritmi esistenziali. Nel senso della vita vissuta, e della filosofia esistenziale.
Sembra il perfetto fascista, compreso il dispensario dei poveri. Del fascismo anche come rivalsa: Céline disprezza Laval e Pétain, odia i tedeschi (come li odia lui nessun “resistente” nella Parigi dell’Occupazione), ma è indispettito dei privilegi cui la democrazia fa da nido. Ne è invece l’opposto, il radicale antipolitico, comunque alieno dalla violenza. Ogni sfiato di Céline è classista. Anti privilegio: ricchezza, influenza, cordate. Tema tipico è il confronto, ogni paio di pagine, tra dame inguantate e impellicciate, o splendidamente nude, e “vecchie” mamme curve sull’uncinetto o prostitute, tra un mondo dorato e uno senz’aria. Contro il proustismo e il gidismo = contro il culo dilagante = contro l’establishment.
Ma tutto è establishment, tutto ciò che ha successo. Compresa la sinistra politica. Detto da tanto a sinistra da risultare di destra. Una sensibilità su questo punto talmente acuta da portare all’autoesclusione – Céline è “nato” con un premio Goncourt. Non è misantropia. O è la misantropia dei filantropi.
Erasmo – Non ha ancora un’edizione critica. Per essere rimasto cattolico.
Ermeneutica – Di Marx o della Bibbia o delle pandette, o dello stesso Heidegger, è ancillare e sterile. Serve a rafforzare il principio di autorità, dell’interprete contro il lettore cioè, e non rende neppure servizio a chi onora: costringe testi e autori alla ripetitività e all’insignificanza, li frantuma. È come dice Metodio di Olimpo nel “Simposio”: come i fuchi gira attorno alle foglie delle piante, invece che come l’ape intorno ai fiori e ai frutti.
È intollerabile. Bastano le diverse traduzioni della Bibbia, in ebraico, in greco, in latino, in italiano. E ora Marx, Obama, Andreotti…
Giustizia - È una delle passioni elementari, come la libertà, l’amore, l’odio. Difficile da enucleare e definire, se non intuitivamente, essendo nota a tutti nelle sue più riposte pieghe - la realtà che non è semplificabile in canoni, né normativi né conoscitivi. È stata già in antico materia di tragedia. E spiega il successo del giallo, genera popolare della stessa materia, la popolarizzazione degli stessi plot tragici. Per la sua diffusa latitanza.
Iconografia – Nell’arte “classica”, fino al Settecento, è meno ingenua di quanto sembri. Molto meno. È con l’arte contemporanea che il soggetto si banalizza - come tutto?
Libro - Diverso a ogni lettura, diverso dalle intenzioni dell’autore, è muto. Non argomenta in realtà, neanche il pamphlet, e non entra in contraddizione. È flessibile e muto.
È per questo dominio del lettore – il quale magari ci vorrebbe un messaggio netto, ma ormai è abituato a fantasizzare, anche se secondo certi canoni. In misura maggiore che ogni altra forma di comunicazione. In ragione della massa: il numero delle parole, la forma libro, cioè chiusa, la grafica, del testo e delle copertine (la vecchia Bur è un’altra lettura ce la nuova, anche se incornicia lo stesso testo).
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