Visto da Vespa, per la cera, il gonfiore, il soliloquio, l’ira incontrollata, Berlusconi ha dato di sé l’immagine dell’uomo oppresso dall’odio, l’ingratitudine, l’indifferenza. Che sono il paesaggio morale dell’Italia oggi. Ma anche dell’Italia sua, che lo adora e lo vota. Dei suoi beneficati, Buttiglione, Casini, Fini, che addirittura ha invocato per lui la prigione a Palermo, e della sua famiglia. Ed era forse, per la prima volta, un’immagine sincera e non voluta, non il solito arrangiamento teatrale.
Il teatrante è padrone dei tempi, Berlusconi ha tradito il suo trionfo all’Aquila con un’esibizione di pena. Il giorno in cui anche Tremonti, l’uomo con il quale si sono più volte salvati, ha inteso rubargli la scena e dargli una pugnalata. Spostandosi sul “Corriere” dalemiano a proporre la grande coalizione, nientemeno, sul solido terreno dell’ennesimo scudo fiscale per i grandi borghesi. La materia per l’ira non manca. Ben più consistente, aspra, velenosa che non gli scolastici arroccamenti dell’opposizione sulla libertà di stampa e d’immigrazione.
Qualcosa di nuovo insomma c’è, e più di una zeppa, nel ciclo berlusconiano. Nessun dubbio che tra Berlusconi da una parte, e Fini, Casini e Tremonti dell’altro non c’è partita, i tre “non esistono” politicamente – divisi peraltro tra di loro dal solito odio. Anche in chiave elettorale: le regionali sono solidamente bipartitiche, chi non si schiera perde in partenza. Contro le legittime aspirazione di Fini, Tremonti e ogni altro a smarcarsi dalla tutela del capo, Berlusconi può opporre la loro inconsistenza politica, a parte il profilo di bravi ex ragazzi: i governi dei tecnici, di destra-sinistra, dei bravi, della società civile, di cui farfugliano sono solo scemenze. E tuttavia faglie si sono aperte che non sono ricomponibili.
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