martedì 22 settembre 2009

Il governo dei fichi (secchi) del "Corriere"

Golpe annunciato dunque, con calendario: dopo la finanziaria e prima della riforma della giustizia. Anche il divieto delle intercettazioni non deve passare, che porterebbe a Berlusconi in segreto tanti voti democratici. Grosso modo, il governo si cambia a gennaio. Segue un percorso lineare e perfino trasparente la strategia messa a punto da D’Alema a Milano, col “Corriere della sera”, Bazoli e Geronzi, che Brunetta ha denunciato come un golpe, seppure dei belli-e-buoni della Repubblica, i più fichi. Ma scoperto: l’obiettivo è dichiarato di portare a palazzo Chigi la marionetta Tremonti, il Dini del Duemila. Con una “coalizione di volenterosi” cui sono iscritti Fini, Casini, il Pd di Bersani, bella copia di D’Alema, e il cardinale Bagnasco, il capo dei vescovi. Al presidente Napolitano è demandato il compito di rendere difficile a Berlusconi il ricompattamento dei suoi col ricatto del voto di fiducia.
Negli schemi è fatta, a Milano ogni giorno si contano i numeri e ogni giorno si ha l’impressione di vederli crescere. Ma ci sono delle incognite, che lo stesso Napolitano riflette. Tentennando fra il rigore costituzionale, sebbene annacquato da un ventennio di governo per decreto, stante la mancata riforma del Parlamento, e l’opportunità di tenersi comunque il governo eletto – il presidente della Repubblica ha in orrore il settennato scalfariano di Parlamenti sciolti e governi del presidente. D’Alema non sembra dominare tutti i dossier che ha aperto. A Bari lo strapotere della banda Emiliano è sempre più contestato, in Procura e in Tribunale. Lo stesso “Corriere della sera” non nasconde che il sindaco-giudice è una macchietta, che finge ora la ribellione a D’Alema per riconquistare Nichi Vendola, dopo averlo mandato sotto accusa, e per riconvertirsi anche a destra – Emiliano si vuole concorrente di Berlusconi… Il tentativo di delegittimare la procuratrice Digeronimo ha avuto il solo effetto di una rivolta dei giudici.
Tituba naturalmente Casini. Pensava di dominare la scena col grande Centro. L’alleanza nazionale di Fini e Tremonti lo spiazza ed è disorientato. Mentre tra i vescovi non è un segreto il timore di essere acculati all’omofilia, per la riproposizione del caso Boffo come frontiera di resistenza. E, peggio, alla pedofilia: fra gli scandali taciuti ci sarebbero dei balletti rosa – e non mancano le Procure che ci andrebbero a nozze. Né convince la strategia di Bagnasco, di considerare acquisito il sì del centrodestra sulle leggi di bioetica, e di allargare i margini portando al governo la sinistra: molti temono che il gesuitismo politico non finisca per orientare negativamente quello che sarà un voto libero, di coscienza.
C’è poi Berlusconi, non del tutto inerte. Certo di arrivare alle regionali, è certo anche di poterle vincerle a condizioni minime. Con la Campania naturalmente, e un candidato appena presentabile nel Lazio, dove Marrazzo, che si ricandida, parte con gli handicap del ticket sanitario a 4 euro e cinque anni di governo inutile. In bilico sarebbe pure il Piemonte. Se conquista il Lazio, Berlusconi non potrà essere mandato a casa.

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