astolfo
Democrazia – Non contano in politica le cose che si fanno, neppure quelle che si danno, ma i sentimenti che si stimolano, e i legami di gruppo, ideali, che attraverso di essi si stabiliscono. Anche se la scienza politica e Marx pretendono il contrario. La prima, elementare, democrazia contemporanea è populista, di tipo nazional-fascista (i primati), poi ideologica (comunismo sovietico) e ora fondamentalista (esclusiva).
Guerra - È sempre totale. Vauban ha calcolato che dalla caduta dell’impero romano al suo secolo erano stati uccisi 12 non combattenti, e mutilati 120, per ogni soldato morto o mutilato in battaglia.
Guerrafondaio è in inglese warmonger. Cioè, dice Hobbes, “Leviatano”, II, 21, whoremonger, puttaniere. È la guerra (inglese) puttana?
Potere – Si identifica con l’arte del potere. Della forza, cioè. E della furbizia, la menzogna, la sopraffazione. Ma con Hobbes – il Covenant – diventa strumento del debole: il patto dà il potere a chi non ce l’ha.
Con lo Stato produttivo e sociale (politiche del lavoro, istruzione, sanità, previdenza, lavori pubblici, ambiente), in regime di voto popolare, è la strumentazione democratica – con tutti i suoi difetti.
L’anarchia, a questo punto, non è utopia. È paura – al meglio è irresponsabilità (goliardia).
Produttività – Si lega alle produzioni inutili, delle professioni “non utili” di Adam Smith, che a quelle primarie o necessarie – l’allevatore, il contadino, il fabbro, il tessitore, il muratore. I re Magi offrono a Gesù prodotti inutili. Le epoche di grande sviluppo si accompagnano a grande dissipazioni, che restano come monumenti (il Quattrocento italiano), o si disperdono nel consumo (contemporaneità).
Pudore – Ce n’è oggi più di ieri, è un argine alla violenza (sotto le specie della vergogna). Ciò conferma ce un progresso esiste, dice Savinio (“Nuova Enciclopedia”, p. 216). Ma è un pudore legato alla rispettabilità, valore borghese - anticamente pudicizia e impudicizia erano cerimoniali. Il progresso si conferma allora borghese, e non è male. Ma la sua vergogna non fa argine alla violenza.
Quarantotto – La sua nazione-primato, con la razza, darà carattere di massa alla guerra. E al totalitarismo. Al nichilismo cioè, e per converso all’anarchia. Il nazionalismo è la seconda ideologia collettiva, dopo la libertà, ma la più persistente: il Quarantotto può più dell’Ottantanove.
Quattrocento – Epoca d’invenzioni meravigliose, la cupola, la letteratura fantastica, la prospettiva (che anticipa geometricamente la relatività einsteiniana: punto di fuga-infinito e coinvolgimento, “raddrizzando” la superficie delle cose), la filologia, la scienza politica. Oggi ci interessa per la magia, e un platonismo ce si vorrebbe far scadere in plotinismo.
Riformismo Ha “fatto” più lo Statuto dei lavoratori, una legge del Parlamento, o il Sistema sanitario nazionale (la pubblicizzazione più spinta che si sia mai avuta della sanità, fuori del sistema sovietico), che tutto il comunismo di Togliatti prima, e di Berlinguer dopo, coi suoi governicchi andreottiani. Analogamente, nel mercato del lavoro odierno, la Legge Biagi. Cosa vuol dire che il riformismo è impossibile? Forse nella logica. Ma nella logica nulla è reale: nulla avviene, tutto si dissolve, nell’incoerenza che è padrona.
Risorgimento – Si celebra con disagio l’unità per il leghismo, ma anche, se non di più, per la coscienza, al Sud, al Nord, nelle città, nelle campagne, che il Risorgimento fu dei Savoia e non di Cavour. Che l’Italia fu ed è del compromesso e non della libertà.
Il Risorgimento ha una parabola nettissima a coda di pesce: dal grande movimento di libertà del 1848, in tutta l’Italia, anche nei paesi più remoti dell’Aspromonte o delle Madonie, al liberalismo modernizzante e industrioso di Cavour, alla cortigianeria dei Savoia. Dopo non c’è più storia fino al fascismo, primo regime “democratico”, o popolare, della storia italiana unitaria (ceto politico nuovo, opere sociali, edilizia popolare, scuole, ospedali, ruralità), una parentesi in un pattern persistente. Liquidando Cavour, i Savoia hanno liquidato il liberalismo, che in Italia non c’è più stato e non c’è. Centro-sinistra con Rattazzi, centro-destra con Quintino Sella, quindi centro-sinistra, con Depretis, Crispi e Giolitti. Ma sempre e solo l’interclassismo che fa bene ai moderati, i futuri gattopardi, con qualche aggiustamento, sofferto, dopo gli scossoni violenti: la morfologia politica non è cambiata per 150 anni, con l’eccezione del ventennio.
L’Italia repubblicana s’è riagganciata al modulo Savoia, recuperandone il linguaggio, il modello d’azione politica (seppure nobilitandolo in Giolitti, a opera dei grandi storici, Spadolini, Galli della Loggia), e perfino il personale. I socialisti, che hanno tentato di rompere questa gabbia, sono stati sterminati. Da qui il successo – l’attenzione, l’attesa – dell’impresentabile Bossi.
Che Italietta hanno costruito i Savoia, dopo avere insegnato a vituperare il Settecento, il Seicento, e i democomunisti. All’inzio del Seicento la “fuga a Roma” era comune e anzi d’obbligo tra gli artisti, Callot, Lorrain, Poussin. Mozart dice Salisburgo chiusa alle arti, mentre l’Italia… Ma non si pianta un pino sulla Roma-Ostia, non si fa un diplomato di violino, si prendono all’Est.
astolfo@antiit.eu
venerdì 25 settembre 2009
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