Dopo dieci anni dalla prima pubblicazione l’accusa risuona ancora più radicale. Rafforzata nella riedizione economica da tre appendici, sull’uso politico, e perfino privato, degli indennizzi ottenuti in Svizzera e in Germania per i sopravvissuti all’Olocausto: se i sopravvissuti sono milioni, argomenta Finkelstein, si alimenta il negazionismo. I capitoli originali hanno peraltro titoli forti: “il profitto dell’Olocausto”, “Truffatori, venditori e storia”, che ricostruisce i due falsi, di Kosinski e Wilkomirski, e “La duplice estorsione”, a danno della Svizzera e delle industrie tedesche. “Industria” Finkelstein intende in senso proprio, non di propaganda ma di interessi politici e privati. E non si può dissentire, i suoi sono fatti.
C’è la vecchia questione se l’Olocausto non sia da condividere con gli altri morti dello sterminio hitleriano. E ci sono le identificazioni tra ebraismo e Israele, e tra ebraismo e governo Usa, entrambe piene di rischi. Con derivazioni superflue, e per questo ancora più dannose: la negazione del genocidio armeno, per esempio, da parte dei Nobel per la pace Wiesel e Shimon Peres, e il tentativo di costruire un nazismo islamico, se non arabo.
Norman G. Finkelstein, L’industria dell’Olocausto, Bur, pp.369, € 9,20
mercoledì 9 settembre 2009
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