C’è un Abruzzo di cui non c’è traccia nel dopo terremoto, ed è quello del turismo annientato. Contro il quale, per il quale, l’unto del Signore Berlusconi nulla ha potuto, che pure, pare, sta facendo già ricostruire le case, subito e non fra vent’anni. Né il paese generosamente mobilitato, con raccolte, concerti e veglie. Migliaia di esercizi hanno chiuso o sono con l’acqua alla gola perché i turisti sono scomparsi. Tutti, letteralmente. Nella riviera che era una delle più apprezzate, pochissime le presenze, da Martinsicuro a Vasto. Mentre erano affollate le spiagge due o tre chilometri più in là, Porto d’Ascoli, Montenero. Anzi, se non c’erano i terremotati, ospitati dal governo, non c’era proprio nessuno. Nessuno in montagna, né in gita né in villeggiatura. Fermo lo stesso turismo locale, religioso, che movimenta dalla primavera ogni fine settimana migliaia di pullman. Per la paura del terremoto.
Una paura inconsistente, certo. Il terremoto, se è già avvenuto, è la migliore garanzia che non tornerà nell’immediato. Ma la psicosi da terremoto è stata alimentata quest’anno come non mai dalle televisioni, senza che nessun’altra disgrazia sia intervenuta a salvare l’Abruzzo da questa infausta attenzione – si conferma qui che la D’Addario è ininfluente. L’attenzione, tanta, troppa, ha ucciso si può dire l’Abruzzo. Alla paura portando gli stessi abruzzesi, se hanno abolito il pranzo fuori porta e il pellegrinaggio. L’area terremotata è ridotta, ma tutto ciò che si può dire abruzzese ne ha sofferto, è bastata la parola.
L’inerzia è dovuta a una malintesa solidarietà: molte manifestazione di aiuto ai popoli terremotati, che invece, loro e i loro parenti e vicini, avrebbero avuto bisogno di normalità e voglia di fare. Può uccidere anche la solidarietà. Girando per la regione, la mestizia è il segnale prevalente. Tristi i promotori locali, le pro loco, le associazioni, i parroci. Niente feste patronali, niente feste laiche, solo solidarietà. Assassina.
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