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-ano - È tipico italiano per dire scuola, o filone, o corrente di scrittura: manzoniano, dannunziano, leopardiano (per l’arte di dice –esco). Altrove ognuno scrive per sé: non c’è, o non fa testo, la maniera, e l’-ano parla solo per sé: molieriano, goethiano, shakespeariano, sono cose di Molière, Goethe, Shaks. Tipicamente italiano per dire scuola o cordata?
D’Annunzio - È “milanese”.
Lo si pensa “romano”, svagato, farfallone, millantatore, e invece si credeva, ed era creduto, lombardo. E non per le cose minime, le donne o i profumi, che trovava in tutto l’italico regno, e a Parigi, ma per quelle serie, la poesia e la politica.
Milano è dannunziana, anche.
Dante – D’Annunzio lo dice “ermafrodito” – nelle “Rime inedite e stravaganti”.
Voltaire ne trova il poema “bizzarro” (Essai sur les moeurs”, LXXXII)
Non si ride in Dante - questo è in Musil, “Saggi”, 761: Dante, come Goethe, non aveva umorismo.
Don Giovanni – È Sisifo, come Sade: la ricerca della (per la) morte: il corpo della donna – il piacere – è il desiderio e la ricerca dopo la caduta. È il peccato della curiosità.
È anche caricatura, che viene svolta in parallelo col cicisbeismo. Dall’infinita trattatistica della seduzione di Crébillon-fils, dove il “maschile” è già “femminile”, all’incredibile Casanova, ai vari Figaro, passando per Metastasio, fino all’autopunizione di Byron, che il gioco del seduttore ha così sofferto. Anche Puškin è don Giovanni.
Mozart ha fatto Figaro, vluto da lui, malgrado il soggetto fosse malvisto alla censura viennese, e da lui imposto a Da Ponte, e ha fatto don Giovanni.
Per Da Ponte-Mozart il titolo è “Il dissoluto premiato o vero don Giovanni”.
È italiano? E non ci sono, come per Colombo, don Giovanni di altre nazionalit? Manca uno scandinavo, o antico tedesco.
Quello di Kierkegaard è su Mozart, ma è un altro don Giovanni: non gioisce.
Anche lui è mille e uno. È come per la filosofia, è mutevole. E imperfetto: corteggia le dame come la filosofia corteggia la verità.
È Carmen, don Giovanni in gonnella, di Mérimée-Meilhac e Halévy-Bizet – e più tardi “Donna Giovanni” messicano al festival d’estate di Salisburgo del 1987, con sei divas lascive. È la molteplicità dell’uno. Della donna oltre che dell’uomo. E dell’amore: fedeltà, gelosia…
Secondo Rachide, “La Jongleuse”, era una suora, parata dei più bei finimenti del suo convento, travestita da uomo, e poi transessuata.
Per Nathalie Barney, “Aventures de l’esprit”, è l’incostanza intellettuale. Per Stendahl è Gilles de Rais, o Francesco Cenci. Per Byron Faublas.
Per Hoffmann è Faust. Il diavolo lo convince che il paradiso è in terra, attraverso l’amore. Finché don Giovanni-Faust non incontra donna Anna, che può essere la donna giusta: allora il diavolo lo fa punire dal Cielo. Sembra blasfemo, ma è così che succede – nessuna donna, con cui don Giovanni va a letto, lo perde, eccetto l’ultima.
Compare nel Seicento, quando la sessualità viene normalizzata socialmente. Nella famiglia del capofamiglia. E per renderla più compatta le viene opposto il libertinismo (v. Alessandro Fontana, prefazione a “Il pene e la demoralizzazione dell’Occidente”).
Fantasy - È genere infine popolare, forse più del giallo: spopolano Tolkien e Harry Potter, Dungeons & Dragons, Dungeoland, i libri-fai-da-te, e ogni altro genere di avventura del passato (fantasy) e del futuro (science-fiction). Sono tutte avventure del genere “conquista”: quindi di scoperta e di guerra. È la riduzione a gioco della violenza istintuale? Ma sono anche tutte storie slegate dalla realtà: proiettate in un passato o in futuro senza coordinate spaziali reali e senza tempo definito. Forse eliminano l’incubo della storia, che per gli adolescenti è l’orrore della morte (la scoperta che si può morire, che la ragione – la realtà – vuole fatica).
Freud – Ha fatto la psicanalisi di Woodrow Wilson, Leonardo, Mosè contro ogni “regola” della psicanalisi: parlando lui invece che gli analizzandi, elaborando tradizioni e arguzie trute, scrivendone bene invece che correttamente. Va per indizi. Uno Sherlock Holmes “meglio” scritto.
Fissa la teologia ebraica del Dio negativo (punitore) e i “De Contemptu Mundi”, nel disfacimento dell’anima in aggiunta a quella del corpo, del mondo: una filosofia naturale che è il disprezzo dell’uomo. L’artista è nevrotico (l’incredibile lettura di Leonardo). Tutte le pulsioni, anche quella erotica o del piacere, sono negative (vedi sempre Leonardo, che deve vergognarsi di essere omosessuale). Una condanna.
Gadda – “For this relief much thanks”, “Amleto”, I, Ima. Il suo personaggio è se stesso, non solo nella “Cognizione”. Riservato, impegnato, “doloroso”, non scrive che di sé. Il promo autore-personaggio, da trauma psicanalitico. In parte come Céline – gli altri “testimoni del XXmo secolo”, Proust, Joyce, Musil, sono dei poseur, eruditi storici, tardo borghesi, intellettuali.
Si apparenta Gadda al maccheronico Folengo. È uno dei tanti specchietti che il Gaddus tira fuori per nascondersi. Ma non c’è giocosità che tenga, il suo trippone dilaga. È al sacrificio del suo intimo, oltre che al lavoro letterario, che dobbiamo tanta grazia. Altri specchietti sono – dicono quelli che lo hanno frequentato – l’ipercortesia, la piccola noblemania, il riserbo estremo. Ma scrive perché soffre, come soffre.
La sofferenza non è nel rapporto con la madre, che più che altro è inesistente, o nel ricordo del fratello morto, o della guerra. Questi sono altri specchi simulatori. La guera gli piaceva, si vede dai diari: il raccapriccio per i morti è di maniera, la guerra e la prigionia sono i “suoi” ricordi, iniziazioni all’età adulta e al mondo. La sofferenza è l’inquietudine dell’uomo, ingegnere, giornalista, il vero uomo senza qualità, tal quale, senza l’Idea, senza Diotima, senza artificio. Lui che progettava di fare lo scrittore di artificio – o fingeva, per non dare un dispiacere a Contini.
Commistione fredda dei linguaggi. Quanto diverso in questo da Céline, che stravolge dall’interno, i suoi mondi.
I riferimenti linguistici sono tutti borghesi: ingegneria, medicina, immobili, rendite, viaggi, monumenti, fiori… Quanto diverso da Céline, che ha riferimenti esistenziali.
Giallo – Richiede poca fantasia, per leggerlo e per scriverlo.
Stendhal mette la crudeltà degli inglesi sul conto della Bibbia. Che gli inglesi siano specialmente crudeli resta da dimostrare. E che lo siano per la pratica della Bibbia – e i calvinisti svizzeri, allora, o olandesi, e i puritani americani? Ma è vero che il giallo, genere ad alta intensità di fantasia crudele, è “inglese”. È anche biblico?
Scrittura – Quella del Novecento è stata minacciosa: interrogativa, ansiosa, violenta e trattenuta allo stesso tempo, indagatrice e assertiva.
letterautore@antiit.eu
domenica 6 settembre 2009
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