La ricostruzione strepitosa dell’Aquila e dell’aquilano deve cedere alle beghe della Rai, di Floris contro Vespa, o viceversa, con spiegamento di tante preziose energie dell’onesto Zavoli, trincee per la libertà di stampa, e appelli al presidente della Repubblica. L’Italia sovietica non muore mai, dove si vota sempre e mai nulla cambia. Forse perché la Costituzione, come dice Padoa Schioppa, è stata a lungo sovietica, a metà, e non ha perso il vizio. Sovietica non è solo la parte economica: imperando il tutto è politica che è la non politica, e un sindacato di partito, caso unico al mondo, la politica si fa tracotante, con i casi Floris, e il popolo subisce l’aggressione quotidiana, ora per ora, minuto per minuto, della Rai, dei giornali, delle tricoteuses, dei procuratori. I megafoni sembra di sentire dei romanzi orwelliani, l’aria è lo stesso plumbea. Con la libertà dei centri commerciali, certo, i non luoghi, e le pizzerie compagne a sessanta euro, a testa. Ma con in più i vescovi e i presidenti delle Camere, che, non avendo fatto nulla per la ricostruzione dopo il terremoto, se ne prendono il merito.
Orwell, con non luogo
Si dice che l’Italia è vittima di Berlusconi. È vero, è doppiamente vero, perché quest’uomo vince le elezioni promettendo di liberarla, e invece la lascia dov’era, l’ultimo, l’unico, paese sovietico a vent’anni dalla caduta del Muro. È tutto qui il grigio che opprime l’Italia. Delle città toscane, Firenze in prima fila, che ripetono le città dell’Est, Lipsia, Dresda, prima del disgelo: mute, buie. Delle file alle Poste interminabili, che ora sono anche banche e centri d’immigrazione, con meno uffici e meno impiegati di quaranta e cinquant’anni fa. Dei treni da vomito, per la sporcizia e il tempo incalcolabile. Del biglietto del tram che non si trova, nessuno lo vende, e le macchinette sono otte, appena le cambiano, a caro prezzo, si rompono. Dei musei chiusi ad arbitrio degli uscieri. Per settimane e anche per mesi. A Brera come a Reggio Calabria da anni, che ha il numero più elevato di uscieri. Dei vigili esosi, dovendovi estorcere anche le multe di quella metà della popolazione che ne è esente, loro parenti e amici – e di Equitalia: sarebbe piaciuta a Breznev, vigile e fredda, sbirraglia che paghiamo due volte, con lo stipendio e con gli aggi. Degli eserciti di bidelli pagati per aprire le porte la mattina e chiuderle al pomeriggio. Nient’altro, hanno questo alto ruolo, e il sindacato lo fa remunerare bene e stabilmente. Per le pulizie i presidi pagano “imprese” esterne, se la scuola ha fondi. Che più spesso sono presidesse, dure contestatrici di ogni riforma che faccia lavorare la persone. Perché il lavoro è sacro e non va perseguito.
È patetico Brunetta che si accanisce contro i burocrati infingardi, perché trascura una cosa: l’obbligo per lo Stato di non lavorare. Sancito dalla Costituzione e dai Tar. Il sindacato fa causa per non far lavorare i dipendenti pubblici nei Comuni. E il Tar gli dà ragione. Niente è più doveroso dei lavori socialmente utili, che stipendiano un paio di centinaia di miglia di “giovani” per non lavorare.
Fare causa per non lavorare
Il lavoro è una rendita, senza obbligo di produzione. Non solo nel pubblico, anche nelle aziende protette del mercato: Telecom, Enel, banche. L’(ex) monopolista Telecom può fare impunemente, e anzi con l’elogio delle “Pravde”, quello che mai ha potuto fare quand’era statale: jugulare casalinghe e anziani con contratti truffa, e tutti con una rete arretrata di un’epoca, avendo abolito i telefoni pubblici per i pochi che non usano il telefonino - li tiene belli in vista, a grappoli, ma nessuno funziona.
Questo in un’Europa che ha perso finanche la memoria della storia, che era il segreto della sua intelligenza, della grandezza di un piccolo continente, minuscolo. L’Europa non ricorda Monaco né il patto Ribbentrop-Molotov. Né la guerra di Hitler e Stalin alla Polonia, e all’Europa. Non ricorda neppure il Muro. E non se ne libera. Ma non alle profondità dell’Italia. È l’Italia l’ultimo paese sovietico. Con un tocco di sacrestia. O meglio detto: è il primo paese sovietico ricco. Piagnone. Che sempre si vuole debole, piccolo, perseguitato, e come tale è riconosciuto dagli sbirri che esprime, siano carabinieri o giudici. Anche quando è spietato profittatore e freddo killer. E obbligatoriamente popolare.
Il paese degli ospedali governati dai portantini. Che costano il doppio di quanto dovrebbero – a Roma si vede, per il confronto con gli ospedali del Vaticano, che sono anche più grandi e meglio attrezzati. Della spazzatura non raccolta dagli spazzini. Con giudici che, a Napoli ma non solo, mandano sotto processo tutti quelli che raccolgono la spazzatura. Non quelli che impediscono la raccolta della spazzatura. Per motivi politici dicono, d’igiene e di protezione dell’ambiente. Degli operatori ecologici che al più passano in gruppo, quando passano, per passare il tempo celiando, senza mai raccogliere una foglia o una cartaccia. Figurarsi i vetri e i cessi dei treni, i gabinetti delle scuole e degli ospedali, le scale dei ministeri e degli assessorati. Se il sovietismo non è ormai un imprinting. Un paese di anarchici che ora s’acconcia a una dichiarazione delle tasse con 160 pagine di avvertenze, a corpo 6. E aspetta tranquillo mezzora e anche un’ora un mezzo pubblico – a Roma succede (Roma che però, va precisato, è l’unica grande città italiana bene amministrata, al confronto per esempio con Milano).
Immemore, senza tempo
Un paese non solo immemore ma anche senza tempo. I duecento giorni utili, tolti i week-end, le festività, le vacanze, riducendo a centocinquanta per una serie di adempimenti, il tempo non tempo dell’ananke sistemica. Quattro giornate di coda alle Poste, per pagare i conti o ritirare le raccomandate. Una settimana per gli adempimenti fiscali, non per gli adempimenti in sé ma per raccogliere una documentazione che mai è sufficiente. E per le cartelle pazze (imposte o multe non dovute, o già pagate, o contestate, e ripetute). Un tempo obbligato che Equitalia mediamente raddoppia, l’esattore del Tesoro, quintessenza della burocrazia strapotente e strafottente (fa pignoramenti per cento euro, magari non dovuti). Due giorni per avere le ricette del medico di base. Due giorni per riuscire a fare le analisi mediche di routine – in alcuni ospedali bisogna arrivare entro le 8 e aspettare fino alle 2. Un paio di giorni per cercare la tessera mensile dei mezzi pubblici, il biglietto dei mezzi, i francobolli per una lettera.
Ma più di tutto pesa il potere. Più dell’Urss di Breznev l’Italia è il paese delle auto blu: ce ne sono 607 mila. Anche se gli amministratori politici, ai Comuni, le Province, le Regioni e nello Stato, non sono più di 150 mila. Le auto blu sono 75 mila nel paese secondo in classifica, gli Stati Uniti d’America, che però sono grandi ventotto volte l’Italia, o ventinove, 64 mila in Francia, 55 mila in Gran Bretagna, e solo 53 mila in Germania, che è quasi due volte l’Italia. È il paese delle scorte, che non si negano a nessuno: almeno duemila, che con l’uso medio di tre uomini, su tre turni, costano diciottomila uomini ben portanti, onusti di straordinari e trasferte. E dello stipendio doppio ai parlamentari, dacché il provvido Violante ha disposto il rimborso spese a forfait, senza obbligo di ricevute. Con uffici gratis al centro di Roma. Con uscieri e telefoni.
Annientare il nemico
Si leggono i giornali come la “Pravda”, ineluttabili. Che nessuno leggeva ma non era mal fatta: c’erano molti articoli interessanti, sulla letteratura, la storia, il teatro, la medicina, la scienza, l’ambiente. Solo la politica era indigesta, era il panino di oggi, o pastone. Con la funzione precisa di renderla indigesta. E si ascolta la Rai, prevedibile come radio Tirana: dieci, quindici minuti di cos’hanno detto Fini, Casini, Veltroni, Franceschini, e talvolta anche D’Alema e Berlusconi, la parrocchia non è cinese com’era in Albania ma del centro, che sempre è grande. Con i politici recitati da giornalisti impassionate, androidi con voce chioccia. È come se i famosi cavalli di Stalin fossero veramente all’abbeveratoio a piazza san Pietro.
Un paese unico anche nel senso che ha i reality da realismo socialista. Squadrati, monotoni, monocordi. Ossessivi. Di pretta scula Vyshinski. Cupi. Senza mai uno scarto. Inespressivi, Fazio Santoro, Dandini, Tg 3, Linea Notte, implacabili. Se non per quel ghigno saputo che dice “io sono furbo”. E quando alla fine ridono, con Vauro, con Litizzetto, sgomentano: non c’è nulla da ridere. Ma loro parlano di Berlusconi e del papa, e ridono - di marca Vyshinski ma di naura peraltro italica.
Ci sarebbero poi i giudici, che si fanno pagare carissimo, e sono il doppio che in altri paesi europei, per non fare sentenze. Ma perfettamente in linea, con le intercettazioni, le indiscrezioni, i processi sommari, e – a parte la tortura fisica – ogni altro strumento del totalitarismo sovietico. Compreso l’annientamento del nemico e il controllo rigoroso dei giornali e della Rai: non si è non in linea impunemente. Solo in Italia si vede un giudice al processo rifiutare, con un sorriso saputo, testimoni e prove a discarico dell’imputato – il giudice si è già formato un giudizio, democratico naturalmente, è da quel lato che il giudice si assolutizza (si slega dalla legge) apriori. Una prassi che si dice a torto inquisitoriale, essendo solo fascista : l’Inquisizione si occupava di sentire bene le ragioni dell’imputato, a lungo, ripetutamente. Tutto per il bene della nazione e il progresso del popolo.
Ma questa è già politica, l’Italia non c’entra, fino a non molto tempo fa era un paese spensierato.
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