La trafila
La “trafila” è propriamente l’organizzazione del salvataggio di Garibaldi, dopo la caduta della Repubblica romana, nel ravennate. Ma sta per tutte le traversie di Garibaldi nell’agosto e il settembre del 1849, una rocambolesca fuga attraverso mezza Italia. Dapprima nel tentativo di raggiungere Venezia, l’unico rifugio ancora libero dalle influenze francese e austriaca. Garibaldi fuggiva con Anita incinta, che poi morì nelle paludi della valli di Comacchio, con Angelo Brunetti, “Ciceruacchio”, e col capitano Giovanni Battista Culiolo, il fidato “Leggero”.
Leggero lo aveva convinto a mettersi in salvo abbandonando Anita morta: «Generale, per i vostri figli, per l'Italia...». A Ravenna i repubblicani della locale “trafila” li accolsero, li nascosero cambiando vari rifugi, e ne prepararono la fuga attraverso una “trafila” forlivese. In uno degli alloggi a Ravenna Garibaldi ascolta il 14 agosto, non visto, alcuni operai parlare della sua fuga, e del ritrovamento del cadavere di Anita, dissotterrato dai cani.
Più che dalle milizie papaline, Garibaldi fu braccato dagli austriaci del maresciallo Costantino d’Aspre, che comandava il corpo di spedizione asburgico in Toscana. Tuttavia è attraverso la Toscana che i patrioti romagnoli divisarono da mettere in salvo Garibaldi, grazie a locali “trafile”, appoggi in grado di portare Garibaldi attraverso il granducato fino al mare. L’uscita da Ravenna fu favorita dai festeggiamenti dell’Assunta. Ma al cimitero di Forlì, nessuno della trafila forlivese si fece vivo.
La notizia si era sparsa della fucilazione a Ca’ Tiepolo di Ciceruacchio e altri cinque patrioti e i repubblicani locali non vollero avere a che fare con Garibaldi. I due fuggiaschi vennero allora fatti passare per disertori lombardi, e così trovarono guida e ospitalità.
La trafila in Toscana durerà diciassette giorni. L’identità dei fuggiaschi sarà rivelata ai patrioti, ma disorganizzazione e incompetenza creeranno molti problemi. La fuga si snoda per Castrocaro, Dovadola, Montacuto, Monte del Trebbio, Modigliana, Palazzuolo, le Filigare, Prato, Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, Volterra, Pomarancio e San Dalmazio, dove sostano quattro giorni, e infine Scarlino attraverso la boscosa Maremma. Fra gli accompagnatori più capaci Garibaldi ricorderà un prete, don Giovanni Verità, che lo assiste per tre giorni al passaggio dell’Appennino.
Il 2 settembre Garibaldi e Leggero sono a Cala Martina, presso Scarlino. Una barca li attende, che li porta a sera all’Elba, e il giorno dopo a Portovenere. In Liguria, cioè nel regno di Sardegna. Garibaldi poteva considerarsi salvo, ma le sue traversie non erano finite. Si presenta a Chiavari all’Intendente provinciale, Conte di Cosilla. E ità nelle peripezie della fugafug, i a Caprera come allevatore e agricoltore.rso ella Carmen, un clipper mercantile da 400 tonChe però reagisce terrorizzato: lo supplica di non creare problemi alla città, e infine, su ordine del La Marmora, Regio Commissario a Genova, lo fa tradurre, sotto scorta dei carabinieri, in quella città, dove arriva la sera del 7 Settembre. Datato Genova 17 Settembre, don Giovanni Verità riceverà da Garibaldi un telegramma rassicurante: “M’incarica il nostro Lorenzo farvi avvertito, che le due balle di seta sono giunte a salvamento”. Ma La Marmora lo trattiene in stato di fermo, guardato a vista nel Palazzo Ducale. Finché la Camera Subalpina non lo farà liberare.
Il governo sabaudo decise allora di ostracizzarlo. Imbarcato sull’incrociatore Tripoli Garibaldi venne portato a Tunisi. Dove però gli fu impedito di sbarcare. In attesa di una soluzione alternativa, Garibandi trovò ospitalità, tramite Leggero, originario della Maddalena, nell’arcipelago, ospite del sindaco per una ventina di giorni. Dopodichè fu imbarcato sul brigantino da guerra Colombo, che lo portò fino a Gibilterra, in territorio britannico. Ma anche il governo inglese lo ritenne un soggetto pericoloso: il governatore inglese gli concesse di sbarcare, ma per un soggiorno limitato a dieci giorni.
I successivi sei mesi Garibaldi li passò a Tangeri, ospite dell’ambasciatore piemontese Giovanni Battista Carpenetti, suo ammiratore. Poi s’imbarcò, via Liverpool, per New York, dove risedette un anno, dall’aprile 1850, lavorando tra l’altro nel laboratori di candele di Antonio Meucci. Fu quindi in Centro e Sud America. Al Callao, il porto di Lima, ottenne il comando della Carmen, un clipper mercantile da 400 tonnellate, di un armatore italiano, con il quale arrivò fino in Cina, trasportandovi guano e riportando indietro emigranti cinesi. Successivamente trasportò il rame cileno, da Valpariso e altri porti, sempre verso l’Asia. Nel 1854 tornò in Italia, installandosi a Caprera come allevatore e agricoltore.
lunedì 26 ottobre 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento