Non c’era dubbio nel 1860 che Garibaldi, Cavour, l’Italia, non stessero facendo una Rivoluzione. Tutti gli scambi diplomatici dell’epoca concordano. Lord John Russell ne scrive al suo ministro a Torino, sir James Hudson. Il russo Gorciakov ai suoi ministri a Parigi e Torino. La stessa Austria, quando tentò di riunire i tre regimi dispotici per un intervento a favore del re di Napoli, a Varsavia il 22 ottobre 1860, li ammonì contro “la Rivoluzione trionfante in Italia”.
Esaltò l’Europa la corsa spontanea degli italiani verso la libertà, e l’organizzazione, l’ordine, con cui organizzarono e conclusero le loro ribellioni. Tra tutti gli italiani c’era un fermento patriottico molto simile all’entusiasmo. Sobrio al confronto con i deliri del 1848. Ma sofisticato e maturo. Si sapeva inoltre, si sentiva, che, se anche l'Austria e i Borboni fossero stati espulsi dalla vita politica italiana, molti nodi restavano da sciogliere prima che l’Italia potesse tornare alla gloria della libertà. Ma tutto sembrò possibile.
Che cosa è andato storto? È brutta la Rivoluzione? È brutta l’Italia?
Si è detto e si dice che sono brutti i meridionali, ma non può dirsi la diagnosi giusta, dopo un secolo e mezzo.
L’Italia non si è vaccinata contro la Rivoluzione, né ne ha avuto una, e per questo continua a recalcitrare, in un indefinito risentimento. È un ammasso eterogeneo, un’identità che è tutto e sempre insoddisfatta: repubblicana e monocratica, laicista e clericale, imprenditrice e profittatrice, sempre soggetta al potere e mai alla giustizia, e al meglio è populista, il terreno di coltura delle mafie.
“Tra i documenti del Risorgimento a me noti, nessuno è più deprimente de “Il libro dei Mille” di Maurizio Quadrio, che mostra come, a causa di una speranza delusa, uno spirito di valore si inaridisce e incattivisce” – W.R.Thayer, “Life and Times of Cavour”.
Il Congresso di Parigi, che Napoleone III volle ai primi del 1956 per rifare la carta d’Europa, in risposta al Congresso di Vienna del 1815, e che per la prima volta porrà in ambito internazionale una “questione italiana”, contro l’occupazione straniera dei domini pontifici e contro il malgoverno nel Regno delle Due Sicilie, Cavour avrebbe voluto posposto. Il suo disegno era di trascinare nella guerra di Crimea l’Austria al fianco della Russia, cioè contro la Francia e l’Inghilterra, dopodichè la “questione italiana” si sarebbe risolta nei fatti. Nel riconoscimento della “questione italiana” peraltro, la critica alla presenza delle truppe straniere negli stati pontifici si limitava all’Austria, che presidiava le aree settentrionali, non alla Francia, che presidiava Roma.
In alternativa, Cavour elaborò un piano che legava la questione italiana a quella dei principati di Moldavia e Valacchia. Formalmente in possesso dell’impero ottomano, i principati erano sotto il protettorato russo dal 1829. Cavour prospettò a Londra e Parigi la probabilità che l’Austria ampliasse la sua sfera d’influenza ai principati, rompendo così l’equilibrio europeo. Per prevenire la costituzione di un impero absburgico dal Ticino al mar Nero, propose di assegnare i principati danubiani ai duchi di Modena e di Parma. Non anti-austriaci - Francesco V duca di Modena, anzi, era decisamente filoaustraico. Col sottinteso che il Piemonte avrebbe potuto annettersi i ducati di Modena e di Parma, come compenso per la partecipazione alla guerra di Crimea.
Napoleone III fece, in un certo senso, di più: propose che Francesco V diventasse sovrano di Moldavia e Valacchia, la duchessa di Parma Maria Luigia diventasse duchessa di Modena, e il ducato di Parma fosse annesso al Piemonte, senza più. Sembrava la quadratura del cerchio, ma l’Austria non aveva l’ambizione di arrivare al mar Nero, e non aveva l’intenzione di perdere un alleato fedele in Italia, alla quale invece era interessata. Sull’obiezione dell’Impero ottomano, contrario naturalmente a ogni forma di smembramento, sostenuto dall’Inghilterra, la questione fu riposta.
mercoledì 28 ottobre 2009
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