I berlusconiani hanno paura. I giornali, le televisioni, e molti politici. Lo stesso girovagare di Fini è un segno di nervosismo e non di forza – se il presidente della Camera s’illude, tutti i suoi sanno che fuori della coalizione non hanno voti, nemmeno quelli dell’ex Fuan, la gioventù missina di Fini. Temono D’Addario, che da Santoro è apparsa una poveretta in cerca di serate, temono la Consulta, il giudice Mesiano, e perfino Santoro.
Non ce ne sarebbe motivo, i nemici di Berlusconi sono in declino: il dipietrismo, i preti, i giudici pe le maestre. L’opposizione poi non sa nemmeno organizzarsi: è molto divisa, e non per tattica, tra diessini e popolari, e all’interno dei due vecchi raggruppamenti. Mentre il Centro di cui si parla è il nemico che ogni governante vorrebbe, se non se lo sta costruendo: dove si muovono Casini e Montezemolo non succede niente, la loro produttività è zero, indecisi a tutto.
C’è un ritorno dei bancari, Passera, Bazoli, Profumo, che poi sono i veri padroni dei giornali, attraverso i quali fomentano l’instabilità. Nella restaurazione obamiana sono tornati all’utile, e che utile, già nel primo semestre di questo anno di crisi, e non c’è nulla che Tremonti possa fare per obbligarli a prestare i soldi invece che investirli in futures, oggi proficuamente. La piega ironica di Draghi, che protegge la speculazione, la dice tutta sulla loro forza. E tuttavia i bancari, per quanto forti, e i loro giornali non fanno l’opinione – è dimostrato. Sono un tassello di un puzzle che deve essere più ampio e solido e non c’è.
Il teatro vuole nervi saldi, i Dc sono deboli
Cosa origina allora il nervosismo dei berlusconiani? La mancata legittimazione, non c’è altra risposta. Reagiscono sempre scompostamente e sempre in eccesso, come il capo. Come nei reality: per la visibilità bisogna gridare più forte e più sporco. Sembrava un modulo che Berlusconi possedesse e imponesse. Ma evidentemente, se non lui, i suoi non hanno la freddezza necessaria a gestire il teatro della finta politica.
Lo stesso Berlusconi, che pure si rende conto che domina la politica da quindici anni, e lo dice anche, si comporta come se fosse l’ultimo arrivato, che deve spararle sempre più grosse. È un gioco, si è detto, che ne favorisce il successo politico. Ma è un gioco che vuole nervi saldi, quali si hanno normalmente in un’azienda e non in un partito soggetto al voto. Ora, o l’inquietudine dei berlusconiani è il tipico difetto di trasmissione, che i dipendenti hanno solo un’idea vaga del capo. Oppure Berlusconi non controlla del tutto il gioco del rilancio – nessuno lo controlla mai del tutto – o comunque non più. Non più dopo l’attacco feroce della moglie e della figlia.
Debole è peraltro, nervosa, impaurita, la parte democristiana dei berlusconiani. Che è consistente e grossa beneficiaria del berlusconismo, ma come su tutto tituba. Mentre i bossiani si segnalano per giganteggiare in questa fase per la necessaria freddezza, anche nella scompostezza, che deve caratterizzare il politico. Di Bossi si dice perfino il grande saggio e il grande vecchio. I bossiani sono forti del quasi trenta per cento della Lombardia e del Veneto. Ma sanno pure che lo hanno acquisito grazia all’alleanza con Berlusconi, come voto utile per il federalismo, e difendono la governabilità – l’obbligo per un governo di governare.
Queste sono le due evidenze. Ma un paio di ipotesi non sono da sottovalutare. Una è che i berlusconiani lavorino anche loro a trucco, creando dei fantasmi che poi diventa loro agevole abbattere - è difficile, ci pensano a questo gli oppositori, ma è possibile. L’altra è che il giornalismo D’Avanzo (per aggiramento, insinuante) sia più efficace, coinvolgente, di quello Travaglio (di annientamento, frontale).
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