Arrivati al 1859, il progetto di Cavour era, si sa, di portare il re delle Due Sicilie a condividere la causa nazionale. Perché al Sud non c’era il fermento unitario che contagiava il Nord. E perchè l’unità era difficile da far digerire all’Europa. Che avrebbe accettato al più l’uscita dell’Austria dall’Italia, anche se a costo di favorire l’espansione a Est del regno dei Savoia. L’esigenza fondamentale di Cavour d’altra parte concordava, liberare l’Italia dalla presenza straniera, cioè dall'Austria. Il progetto allo scoppio della guerra con l'Austria prevedeva l’espulsione degli austriaci, l’espansione del Piemonte, una unione nell’Italia Centrale, e il mantenimento del Regno delle due Sicilie al Sud.
Ma Ferdinando II, gravemente ammalato, titubava, e i suoi ministri non osavano agire in sua vece. Circondato da sacre immagini, scongiuri, amuleti, e costantemente dai preti, sopravviveva a reiterate somministrazioni dell’olio santo e perfino a una speciale benedizione in mortem inviatagli per telegrafo dal papa: il re Bomba sopravviveva nella paura. Ai suggerimenti arrivati da Torino in aprile di unirsi alla causa dell’unità, rispose che il suo dovere era la neutralità. Allo scoppio delle ostilità ebbe un soprassalto di energia e ordinò con vigore ai suoi ministri la più stretta neutralità. Morirà a Caserta il 22 maggio.
Cavour approfittò delle esequie per mandare a Napoli il suo amico conte Gabaleone di Salmour. Con incarico notarile: andare, notificare al nuovo re Francesco II, Franceschiello, il messaggio di Cavour, osservarne la reazione e riferire. Essendo nel frattempo sopraggiunta la vittoria di Magenta, Cavour scrisse a Gabaleone di adombrare la possibilità per Francesco II di annettersi l’Umbria e le Marche. Ma Francesco II rifiutò la proposta indignato e Gabaleone se ne tornò a Torino: “Non c’è niente da sperare qui per la causa italiana”, scrisse.
Il sostegno di napoleone III, sempre contorto, non era all’unità d’Italia quanto a un piano generale di egemonia sulla penisola, in sostituzione dell’Austria. Come protettore del papa. Con un Murat invece dei Borboni a Napoli. E col principe Napoleone suo cugino, “Plon-Plon”, l’ex ufficiale dell’esercito del Württembeg, a capo di un regno del Centro Italia. Per tutto questo, e per allontanare anche fisicamente l’Austria dall’Italia, acconsentiva a un allargamento del Piemonte.
Garibaldi partì per la Sicilia con la malinconia nel cuore. La vigilia della partenza la passò a scrivere lettere accorate al re, a Bertani, e altri corrispondenti. Lettere senza entusiasmo, e di non grande speranza. Al re ricorda che non ha consigliato l’insurrezione in Sicilia, e che interviene unicamente per senso del dovere, perché chiamato a soccorrere l’unità. “Alla fine”, disse a un amico, “mi troverò nel mio elemento, l’azione al servizio di una grande idea”.
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