Il salvataggio di Telecom Italia si sta risolvendo in un ridimensionamento, ma senza benefici per l’acquirente Telefònica. Tre anni di Telecom, dopo gli assalti dei privatizzatori italiani, del “nucleo debole” Agnelli, di Colaninno e di Tronchetti Provera, non hanno dato nessuna soddisfazione all’ex monopolista spagnolo. Se non il ridimensionamento del gruppo italiano a suo beneficio in Brasile, Argentina e Germania, poca cosa. E non ha fatto nessun bene a Telecom, dove la ristrutturazione industriale e commerciale con cui combatte ogni giorno Bernabé si scontra con la mancanza di capitali: i due soci italiani, Mediobanca (11 per cento, 37 con Generali) e Intesa (11 per cento) stanno lì a guardia di Telefònica, mentre il terzo socio, il gruppo Benetton, si ritiene in via d’uscita, e più che il rilancio garantiscono lo stallo.
Una soluzione Alitalia in grande, all’insegna dell’italianità e dell’incapacità. Col rischio concreto che di Telecom rimanga poco o nulla. Telefònica non ha potuto ristrutturare e risanare. Magari con taglia ma con produzione di valore. Le banche italiane con garantiscono contro il ridimensionamento e non consentono il rilancio. Tipicamente diffondendo la voce che, chissà, Telefònica si accorderà con Berlusconi-Mediaset in Spagna per ingrandire Telecinco con le spoglie dell’odiato gruppo Prisa-El Paìs, e Berlusconi-capo del governo garantirà in Italia via libera alla ristrutturazione Telefònica. Se Mediobanca e Intesa non ci stanno volentieri, perché non lasciano Telecom? Perché ci vuole la soluzione italiana.
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