Per un periodo, Cavour fu irritato ma non preoccupato dall’inerzia seguita alla vittoria di Solferino: non immaginava che Napoleone III potesse venire meno agli impegni, e ai suoi stessi interessi. E quando seppe della “mezza pace”, quasi ne fece colpa a Vittorio Emanuele, che aveva solo la colpa d’averlo saputo tre giorni prima di lui, trovandosi sul fronte delle operazioni. Il telegramma del principe Napoleone, che la mattina del 9 luglio gli annunciò l’armistizio, lasciò Cavour ancora incredulo. Ne discusse tutto il giorno col segretario privato Costantino Nigra e solo la sera si decise a prendere il treno. A Desenzano, la mattina dopo, la gente alla stazione già sapeva che i due imperatori si stavano per incontrare e firmare la pace.
Cavour arrivò a Villa Melchiorri, a Mozambano, dove Vittorio Emanuele aveva i suoi quartieri, come una furia, su una carrozza di piazza. Di una furia che il re incredulo prese per insolenza. E ai suoi, dopo il lungo colloquio, di cui non si conoscono gli esatti termini, spiegò: “Cavour vorrebbe che facessi questa guerra da solo. Ma io non ho perso il lume della ragione”. Il giorno dopo, al generale Solaroli, aggiunse: “Napoleone dice di avere più di un motivo di dolersi di Cavour, ma doveva proprio sacrificare una nazione per un uomo?”
Dopo il re Cavour cercò Napoleone III. Ma l’imperatore non lo ricevette. Con Vittorio Emanuele Napoleone III si era lamentato delle intromissioni di Cavour in Romagna, come se fossero esse all’origine del cessate il fuoco e l’armistizio. E alla richiesta di Cavour fece rispondere: “Il Conte vuole mettermi in cattiva luce, un incontro nelle condizioni attuali non ha senso”. Non ci fu però altro motivo per l’armistizio se non la decisione di Napoleone III di fermare la guerra: il suo obiettivo era solo d’indebolire l’Austria. In nessuna alleanza si fa la pace senza consultare l’alleato. Lo stesso Vittorio Emanuele Napoleone III non trattava come un partner ma come un vassallo.
Cavour ebbe accesso solo al principe Napoleone. Il principe Napoleone Giuseppe Carlo, figlio di Girolamo, ufficiale dell’esercito del Württemberg, cugino di Luigi Napoleone III, attempato dongiovanni a cui si era pensato di dare in sposa la principessa Clotilde, la filia prediletta di Vittorio Emanuele. Ma, questa è la storia, il rubizzo principe non stimava né temeva Cavour, per cui ebbe con lui uno scambio franco: Napoleone III aveva deciso e non c’era nulla da fare. Quel 10 luglio Cavour lo passò come una furia. A La Marmora, il suo sodale più stretto nell’esercito, fece capire che, se non c’era altra soluzione, allora bisognava “ricorrere”, rimettersi in guerra. La Marmora disse che l’Inghilterra comunque li avrebbe sostenuti, anche senza la Francia. Ma che Cavour era un pazzo a rifiutare la Lombardia, poiché Napoleone e Francesco Giuseppe sicuramente si sarebbero messi d’accordo.
La sera tardi di giovedì 11 luglio Cavour tornò a Villa Melchiorri. Verso mezzanotte il re, scortato da Nigra e dal generale Solaroli, vi rientrò da Valeggio. Lamentando, lungo la strada, i termini dell’armistizio: “Siamo rovinati! Ci diedero di più nel 1848, quando eravamo soli, che oggi. Ci danno la linea del Mincio, senza Mantova né Peschiera, senza il ducato di Modena…”. Ma all’incontro con Cavour a mezzanotte prese le escandescenze del capo del governo come un altro segno d’insolenza. Cavour insisteva per una guerra da soli, alla fine annunciò che si sarebbe dimesso, e si alzò per andarsene. Vittorio Emanuele fece chiamare La Marmora e si raccomandò: “Portatelo a dormire, ha bisogno di riposo”. Vittorio Emanuele diceva che una guerra avrebbe potuto cancellare anche il Piemonte.
Un altro colloquio la mattina alla sette non mutò le reciproche posizioni. Il re andava ripetendo a tutti che si era trovato in guerra, e ora in questa difficile situazione, per iniziativa del solo Cavour: “Lo compiango ma non può più essere insolente”. E tuttavia, al momento della messa a punto dei preliminari dell’armistizio con Napoleone III, fece valere una serie di riserve attraverso La Marmora. Al punto che lo stesso imperatore convenne con la formula poi famosa: “Firmo per quanto mi concerne”.
Era il 12 luglio. Cavour rientrò a Desenzano con Nigra e la sera riprese il treno per Torino. Subito crollando in un sonno profondo. Sbarcò a Torino all’alba del 13 “invecchiato in tre giorni di molti anni”, secondo Nigra e Isacco Artom.
domenica 1 novembre 2009
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