La riunificazione tedesca si è fatta ufficialmente con un atto di generosità, il cambio alla pari del marco orientale. Che invece nascondeva l’ingordigia di piccoli e grandi imprese occidentali, di liberarsi dei fondi di magazzino, facendoseli comprare “alla pari” dai venti milioni di orientali affamati di shopping. Dopodiché, finita la festa, la disoccupazione è cominciata, con il dissanguamento delle casse dell’Ovest, per gli ammortizzatori sociali ormai non più sostenibili ma non eliminabili pena la pace sociale.
Pensare a una buona riunificazione non era difficile se solo si fosse superata l’avidità, bastavano tre iniziative. Dare una riconoscimento di eguaglianza all’Est, ma sotto forma di stipendio, sufficiente, con reale potere d’acquisto. E a questo scopo dare un’occupazione onorevole e sufficiente all’Est. Due soli strumenti sarebbero bastati: a) assumersi per un periodo predefinito, poniamo trent’anni, le pensioni della Germania Est, fiscalizzando gli oneri sociali, in modo da farne la nuova frontiera tedesca e europea del lavoro, la Polonia, l’Ungheria e la Romania messe assieme; b) concentrare all’Est per un periodo (quindici anni? trent’anni?) le risorse federali per il disinquinamento. Le due misure non avrebbero contrastato la normativa europea a protezione della concorrenza, e avrebbero portato la Germania Est al livello dell’Ovest in due-tre generazioni. A un costo che si può stimare un terzo di quello che la Germania ha sopportato nel decennio 1990 senza costrutto. Ogni anno sono finiti nel baratro all’Est fra i dieci e i venti miliardi di euro. Con molto meno si sarebbe finanziato il punto a), a un costo sempre decrescente, e attivando un sostanzioso rifinanziamento degli ammortizzatori sociali.
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