Si ripubblica negli Usa dopo cinquant’anni, in edizione commerciale, tra l’altro con risposta lusinghiera di pubblico, un libro che il più sofisticato editore di nicchia in Italia avrebbe problemi a pubblicare: sulla virtù del silenzio, nella trappa, e sulle regole del canto gregoriano, disseminato di francese e latino, in esametri, e in dimetri giambici di prima dell’ottavo secolo. Leigh Fermor, che ha rilanciato negli anni 1960 il vecchio mestiere britannico di camminatore curioso, aveva passato lunghi periodi a più riprese dopo la guerra, per sfuggire alle ansie della smobilitazione, in conventi benedettini e cistercensi. Dalle lettere che ne scrisse alla futura moglie trasse poi un libro che pubblicò nel 1957.
Forte è il senso dell’abbandono, della ferocia laica contro ogni forma di monachesimo, e più contro quello colto, elevato. C’è anche un tentativo di spiegare la scelta dell’isolamento a vita, che “sfida la psichiatria”. Non ben condotto: Karen Armstrong, la storica delle religioni e di Dio ("Storia diDio"), che fu da ragazza monaca dle Bambin Gesù, nell’introduzione a questa riedizione obietta agevolmente all’assunto che la vita monastica sarebbe farsesca e intollerabile senza “il postulato della fede”: questo è un assunto illuministico, quindi settecentesco, che il sentimento religioso implichi certe credenze. Fino ad allora, e in convento anche dopo, la vita religiosa è più un modo d’essere, un behaviour, che un belief, in credo. Ma già qui Leigh Fermor è al suo meglio, per gli amanti del genere, nell’a parte: l’aneddoto storico, la curiosità, l’accostamento inedito.
Patrick Leigh Fermor, A Time to keep Silence, New York Review of Books, pp. XXII, 96, $ 12,95
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