Titolo di battaglia, per una collana della fondazione FareFuturo, di Gianfranco Fini: il “mito” è della sinistra, che ancora vi si attarda? L’argomento è d’altra parte solido: il mondo è di Versace più che di Marx, di Internet più che di Obama, di Murdoch e non del governo della Repubblica popolare cinese. La metodologia baconiana e ineccepibile: “Non è il mondo che deve essere ristretto finché non si adatti alla comprensione…, ma è la comprensione che dev’essere allargata finché possa accogliere il mondo”.
Una democrazia concepita da Rousseau due secoli e mezzo fa, argomenta piano Acquaviva, per una città di trentamila abitanti, Ginevra, è democratica in una di trenta milioni di abitanti, forse, non si sa, una città cioè informe, tipo Città del Messico? Lo stesso con i trattati sui trattati: il più celebre trattato su destra e sinistra, quello riedito di Bobbio, dialoga con Rousseau, Marx, Stirner, Acquaviva rileva fatti e eventi. Si vaticina la fine dello Stato nazione, rileva Acquaviva, ma forse è vero in Europa, sicuramente non negli Usa, in Cina, in Russia, in Brasile, in India. Lui stesso si fa tentare dal Quinto Stato e la postdemocrazia, ma si ferma in tempo: non è ancora tempo, e forse non c’è materia.
Acquaviva, di derivazione socialista, affina precedenti ricerche della sinistra europea, specie quella di Alain Touraine, e sue. Un allegro anarchismo agita il mondo, un pulviscolo di forze. Che l’Occidente è ancora, malgrado tutto, più attrezzato a capire, e quindi a cavalcare - gli Usa certo, non l’Europa. Ma che esulano dalla politica, o la dilatano in forme incontrollabili, insignificanti anche. Alberoni dice nell’introduzione che finirà male: ogni sviluppo anarchico porta a un tale disordine da generare automaticamente nuove più ferree istituzioni. Acquaviva, a fine lavoro, ha bisogno di una “Premessa alla premessa” per dire, per dirsi, che, non volendo, ha delineato nella sua ricerca un nuovo potere politico, o un modo nuovo di essere della politica.
Il libro è disorganico, anche rapsodico. Talvolta scopre l’acqua calda: la rilevanza politica della promiscuità sessuale, del rock, delle amicizie. O la moda: se è un mistero lo è solo per gli studiosi che la minigonna di Mary Quant e il no bra fecero una rivoluzione quarant’anni fa. O vent’anni fa il panino invece delle tre portate a pranzo, un’insalata, una macedonia. In particolare, Acquaviva tiene al design, di cui fa la mente organizzatrice, non solo l’ingegneria applicata, del mondo. Ma lui è uno che ci prende: la crisi operaia nel 1994, l’eclisse del sacro nel 1992. Cosa propone dunque di nuovo? Che “l’intelletto diventa la forma dominante della forza lavoro”, il che è pure visibile, nella espansione dei servizi. E che altre forze, e non la politica, stanno costruendo il mondo. Un fenomeno che sintetizza nello splendido concetto di “anoressia politica”: i giovani crescono senza politica, senza mobilitazione né impegno, e ringraziare se ancora vanno a votare – che è in realtà una forma politica nuova, almeno per l’Italia, la politica come delega, Acquaviva avrebbe potuto fare di più, ma è un sociologo e non uno scienziato politico.
Il curioso, alla fine, è che se ne faccia ancora scandalo. Sempre il mondo è andato avanti per processi strutturali, per dirla alla Marx, la politica si adegua: la politica segue la modernizzazione, in nessun caso della storia la detta. La storia dice che i barbari vennero a Roma e si civilizzarono. Forse vennero per civilizzarsi, ma è più probabile di no. E la modernizzazione è incessante. È il caso dei giornali illustrati nelle case arabe e di Al Jazeera: in fondo è solo negli anni Settanta che la casa regnante saudita, la parte più illuminata, discuteva se creare o non una televisione, anche solo per leggere il Corano, e se mandare le bambine a scuola (si partì con un compromesso: i maestri erano ciechi). O della non ridicola questione dei compensi dei manager che prevarica la crisi e la disoccupazione di massa: se la retribuzione è come dice Acquaviva, che quella dei primi cento direttori generali in Usa è passata in trent’anni da 39 a 1.000 volte il salario medio, la modifica non è quantitativa, è un mutamento politico. Che cosa cambia allora: l’illusione di modificare il mondo con la politica, che ha fatto una certa sinistra.
Fra destra e sinistra peraltro, volendo restare ai vecchi concetti, è vero quello che la destra sostiene, Tremonti, Sacconi, Ferrara, Brunetta, lo stesso Berlusconi, che la sinistra è a destra, dalla parte dei più deboli. Mentre la sinistra sta con chi ha il posto fisso, e con chi si ritiene migliore degli altri, un elitismo in ritardo. E tipicamente fa affidamento sull’opinione pubblica, che molte ricerche ultimamente, non solo Acquaviva, dicono “gigantesche scuole di conformismo”.
Per come vanno le cose in Italia una sola riga sarebbe bastata: che sinistra è, e che destra, tra giulivi “comunisti” perdenti e torvi “berluscones” trionfanti? Ma già Bobbio in realtà era perplesso, che si poneva, con la sua sottile ironia, domande decisive: “Tv di destra e piazze di sinistra? “Se essere di sinistra significa mettersi dalla parte del più debole, nel rapporto fra la madre e il nascituro chi è il più debole?”
Sabino Acquaviva, La fine di un mito. Destra e sinistra e nuova civiltà, Marsilio, pp. 157, €10
domenica 15 novembre 2009
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