letterautore
Alvaro - “Gente in Aspromonte” racconto riuscito, con successo immediato e durevole, fissa il poliedrico Alvaro e la Calabria tutta in quelle pagine, li ingessa, anzi li ghiaccia.
Il ritorno a casa può essere fonte di vita. La superintellettuale Lou Andreas-Salomé così lo ricorderà di sé e del sensitivo Rilke in morte di quest’ultimo, con il quale si era accompagnata amante, lei di cinquant’anni, lui della metà, in un lungo viaggio di ritorno in Russia, la sua patria, aprendolo all’amore (“Aprile”, pp.10-11): “Molti anni dopo…. Mi dicevi talvolta del tuo sforzo per raggiungere, in qualunque cosa o circostanza, la dimensione mitica, mistica, cercata in modo simile ad un tentativo di anestesia, per far scivolare i dolori e le angosce. E pensavi a quei comuni accadimenti come fossero stati dei miracoli mancati, che pure avrebbero potuto essersi prodotti. Così assolutamente certi e tangibili si produssero per noi, per niente mistici, più reali anzi di ogni realtà, tanto che, anche quando volevamo allontanarcene, dovevamo poi sempre farvi ritorno come ad una casa” . La casa dell’amore ma anche la natura comune. Che Rilke, continua Lou, siglò con queste “felici parole”, una volta che sul Volga avevano rischiato d’imbarcarsi su due battelli diversi: “Anche navigando su due navi separate, avere una medesima via a ricondurci indietro – perché comune è la sorgente”.
Ogni scrittore ha un luogo. Alvaro, scrittore prolifico e polimorfo, non ce l’ha. Ha la montagna, che però non nomina, e in “L’amata alla finestra” il mare chiaro, lo Jonio. Ha anche la Calabria, dove è nato e cresciuto, e dove ritorna periodicamente per trovare la madre. Ne scrive anche, ma in una serie di sei o sette corrispondenze che non raccoglie in “Itinerario italiano” – le recupera nel 1958 Arnaldo Frateili nel volume postumo “Un treno nel Sud”. Racconta l’Aspromonte in “Gente in Aspromonte”, ma allora con cattiveria, quasi con astio.
Il suo ritorno è un rifiuto delle origini. Rifiuto dei luoghi e della gente. Molte visite sono di una notte, dopo un viaggio che durava un giorno. Incluso per il funerale del padre, a esequie già fatte. Nessun ritorno reale: non c’è un contatto, la sintonia è con l’infanzia costruita, il passato supposto, la natura peraltro sconosciuta. Compresa la famiglia: il legame è fisico e non affettivo. Freddo è il funerale del padre in “L’amata”. Orribile il contrasto fra la casa a piazza di Spagna e la casa paterna, di assi scricchiolanti, donne scalze, vetri rotti. Un solo viaggio fa alla casa dell’infanzia col figlio Massimo.
Si possono dire “Gente in Aspromonte” e “L’amata alla finestra” un ritorno “mitico” alle origini – San Luca, lo Jonio, l’Aspromonte. Ma sulle tracce di “Strapaese”.
Alvaro ha lavorato alla “Stampa” negli anni in cui Malaparte dirigeva il giornale. Malaparte sarà un forte creatore di miti, specie della toscanità. Ma simpatetico, e anzi trionfante.
Cocteau – Plurale di coc(k)tail?
Don Giovanni - La seduzione è femminile. E mediterranea, spagnola o italiana. Non può essere protestante: non può esserlo, la donna non c’è fra i calvinisti, non c’è il sesso, non c’è il genere.
Come nel femminismo.
E – Tra virgole - ,e, - è insensata e immorale. Forza la grammatica e il senso comune per ragioni incomprensibili di ritenzione del giudizio. Esiste solo nella lingua italiana, e in quella colta, cosiddetta manzoniana. Dice l’insulsaggine del nostro Ottocento. La letteratura è una delle forme della felicità. Felicità di dire, non di far finta di dire.
Fantascienza – È ripetitiva, e inerte. È arido il futuro immaginato, cioè l’immaginazione. L’effetto è analogo all’altra sbandata della fantasia, quella romantica: piena di ondine, silfidi, folletti, uniformi e senza gusto.
Freud – Perché è piatto: è confessore per turbe laiche. Senza grandiosità, senza drammi reali. Solo perturbazioni a un ordine abitudinario, difetti di razionalità piatta.
Molto teutonico e niente ebraico: ha il gusto del paradosso macabro, ma senza il lume dell’ironia.
Giallo – Quello deduttivo si apparenta, non per erudizione ma per il metodo espositivo (e quindi di ricerca), all’epigrafia, la filologia, la semantica, la storia, le storie, interstiziali e a volo d’uccello. Alla filosofia. All’antropologia. Alle scienze naturalmente,sempre come metodo. Le regole della retorica vi sono celebrate in entrambe le sue forme come stabilite dall’antichità greco-romana, quella razionalistica o formale di Aristotele, Orazio e del Cinquecento, e quella che non si nasconde l’inafferrabilità della parola, dei sofisti e dei contemporanei.
Quello nero e d’azione ricomprende anche il filone che alla scuola media è chiamato epico. La poesia nel giallo? Ragioniamo. Gli ingredienti del sublime ce li ha tutti: la fantasia, l’imitazione dei classici, le passioni elevate, gli ideali e il fato, l’amplificazione degli stessi. Manca il lirismo (ma non in Chandler), che però dov’è oggi? Manca il mito. E la violenza? La violenza, l’assassinio, sono d’obbligo. Ma si fa molta suspense senza. Mentre quante sono oggi le storie che ne fanno a meno, vite dei santi comprese?
L’handicap vero è che il genere ha una tradizione recente. Per quanto, una storia molto lunga del giallo si potrebbe fare senza stiracchiamenti. È un genere da riconsiderare nella storia della letteratura, come formula se non come risultati,. Questi inaridiscono proprio perché soverchiati dalla formula, per caratterizzarsi cioè come gialli. Turata fuori da questa secche indubbiamente la formula narrativa della contemporaneità.
Nella storia, ricostruire un fatto attraverso un processo è smarrirvisi – vedi le prove di Ginzburg, Toaff: sempre ce n’è per tutti. Perfino nei casi confessi o di flagranza. Un processo non è l’accertamento della verità ma una confessione a più voci, comprese quelle degli accusatori. A meno che la verità non si limiti a queste evacuazioni collettive.
Lo stesso vale per il giallo. Il giallo – che non è ovviamente l’atto giudiziario per eccellenza, come comunemente s’intende, l’atto della Giustizia - non appassiona per la soluzione ma per l’intensità delle passioni che coinvolge, odio, orgoglio, perfidia, invidia, avidità, indifferenza anche. A partire dal giallo classico, alla Sherlock Holmes. Il fatto astratto, di giustizia, può far gridare di indignazione ma non è buona lettura. È questo intreccio che appassiona in Sherlock Holmes. È l’assenza di questo intreccio, se non nella forma generica del sospetto, che rende indigesti gli eventi italiani, i terrorismo e di mafia, pur così cruenti e inviluppati.
letterautore@antiit.eu
sabato 7 novembre 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento