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Allegoria - È un’aggiunta che non aggiunge – non arricchisce, non spiega. “Come il polipo (o il camaleonte) che prende il colore della pietra su cui fa nido”, che vuol dire? Accomodante, sfuggente, timido, machiavellico, indifeso?
È una pausa. E un decoro.
È indeterminatezza: la introduce, la crea.
Autore – È, in non piccola misura, l’editore.
Borges - Narra lo charme. Rinverdisce (esalta) la tradizione gnomica di Montagne, una saggezza arguta, senza punte, classica, anche per l’erudizione, con logica paratattica, aneddotica. La disposizione nasce da un fisico particolare, dell’uomo massiccio? Da una fisiologia stabile – senza acidità, coliti, collere, insonnie?
Cabbala - Dio fa parola tramutando l’ineffabile in confusione: mistero, iniziazione, esoterismo – che è sempre qualcosa d’altro.
Filologia - È la scienza della mula del Berni, che scava i sassi per inciamparci sopra. Ma è anche invenzione della storia, e ne ha il fascino – indistinto, possibile, verosimile.
Hegel – È straordinario il suo fascino sull’Europa intelligente di metà Novecento. Effetto forse delle arti informative sovietiche – una propaganda non brutale (si veda in precedenza il fenomeno Münzenberg). E del cupio dissolvi europeo, di Sartre o Brecht, i troppo intelligenti, e dei Moravia, gli onesti democratici. Ma anche di una rilettura sottile e seducente, di Lukács (quanto in buona fede? era uomo di partito) e di mezza Francia. Per uno scopo semplice, e non celato: giustificare il totalitarismo – l’eclisse della ragione, proprio.
Kafka – Umorista l’ha già fatto Barilli, ma andrebbe rivisto: riscontrato sulla seriosità di Max Brod.
C’è un effetto umoristico, di battute e situazioni, più che di impianto.
“L’aspetto da incubo dei romanzi di Kafka consiste nel fatto che in essi ogni evento è apparentemente senza causa, o perlomeno, se una causa c’è, è impossibile scorgerla” (D.H.Carr, “Lezioni di storia, 101). Kafka come Popper, curioso dell’indeterminato, ma con l’angoscia. È cerniera speciale con il mondo che fu, quello della certezza.
La “specialità” Brod lega alla parte ebraica della sua cultura.
Leopardi - Quante componenti nell’“Elegia” del Gray, già tradotta da Cesarotti: il villaggio, la gente comune, il crepuscolo, la campana, l’attesa, il niente, e il destino solitario del poeta.
Leggere - Una fatica di facchini, più che di dotti, per Guicciardini, “Ricordi”, 208: “Così quello tempo che s’arebbe a mettere in speculare, si consuma in leggere di libri con straccehzza di animo e di corpo, in modo che l’ha quasi similitudine a una fatica di facchini che di dotti”.
Lo stesso, quasi, Leopardi: “Privato dell’uso della vista, e della continua distrazione della lettura, cominciai… a divenir filosofo di professione (di poeta ch’era)”. Scrivere non è ritenuto un male (rischio), leggere sì: occupa la mente.
È un piacere onanistico. Nei modi. E negli effetti?
Thomas Mann - È certo l’anti-Nietzsche, benché in ritardo. Per l’aristocrazia del commercio, l’aristocrazia germanica (la polemica col fratello Heinrich, le “Betrachtungen”).
Quanti romanzi e racconti sulla morte. E quanti morti viventi!
Un uomo dell’Ottocento, o meglio di fine secolo, che talvolta si fa forte dei benefici dell’epoca (polemica col fratello, “Betrachtungen”), talvolta tenta di modernizzarsi, entrare nel Novecento. Ma attraverso i sentieri estetizzanti della Belle Époque: le belle cose e gli spiriti particolari, oltre alle trasgressioni vissute come drammi romantici (sempre sessuali: omoerotismo, incesto, bestialità).
Monologo – L’“Ulysses” non libera, sommerge: ha questo effetto. Che invece non hanno i “Dubliners”, né il”Portrait”. È l’effetto del monologo: lo stream of consciousness non si libera nel monologo, nel senso che non va su e giù, perforando gli stadi, per allargare gli spazi della verità, ma si limita a trabordare. È come la piena di un fiume, grandi masse d’acqua e detriti.
Diverso l’effetto nella Woolf, sempre costruita – nel senso di rattenuta - nei suoi stream. O in Céline, che sa invece governare i déferlements a buon esito narrativo – e percettivo (non sempre, ma non a scritto una sola opera).
Proust - Ripete, rielabora, sistema, l’acutismo fin-de-siècle: Louÿs, Rebell, Schwob, Prévost, Toulet, Lorrain, perfino Montesquiou, e Gourmont, Tinan. Il “secondo scaffale” di Hubert Juin. Comprese le dame: Nathalie Barney, Renée Vivien, Liane de Pougy, Anna de Noailles, Myriam Harry, “Gerard d’Houville”, Rachilde. Fino a tutti gli anni Venti. Con genialità del tipo: il piacere è come una foto (“Sodome”, 812). È opera di charme per essere uscita “fuori tempo” – fuori fin-de-siècle, dopo la guerra. Oppure come rievocazione ancien régime – il mondo Excelsior. Proust “dice” tanto a Benjamin, per esempio. Ma Benjamin doveva (voleva) fare barriera contro la devastazione dei sentimenti, il materialismo.
Lo stile viene dalla madre – è lo stile Mortemart: semplicità, sobrietà, charme. Come per Gide. Anche Flaiano rinvia alla madre.
Un pallone, o un immenso aquilone. Inverosimile, inutile, semplice (poco intrigante), che troppo spesso si deve tirare su da terra con sforzo. Di questa materializzazione del desiderio i venti vitali bisogna cercarli, con applicazione, con fortuna anche. Ma quanta fatica nell’applicazione fantastica!
“Pascal est un trou... blé-blant”, “Sodome”, p.718. Alla fine del pranzo della principessa che va da p. 632 a 726. Ignobile. Due ore di pranzo dalla duchessa vanno da p. 422 a p. 550.
In “Guermantes” la nobile conversazione è rifatta al gabinetto pubblico. Si vorrebbe allora pensare la “Recherche” una parodia, con intenzioni satiriche. De Maria accosta Proust a Molière: sono i più “satirici”, muoiono a 51 anni, lasciano un’opera immensa. Ma non si può.
Elabora cerimoniali morti – per rivivere i quali molto snobismo certo è necessario. È Ersatz tipicamente piccolo borghese, lo sforzo di resuscitare, per imitazione, vecchie forme di passione, peraltro già spente, di uomini inconsistenti (da aneddoto) e dame irrancidite.
Saturnino – L’io narrante in letteratura è sempre saturnino - elegiaco, malinconico, depressivo. Anche nel comico. Nella tradizione orale invece l’io interviene per vantare, meravigliare, rivelare. L’io fa male alla scrittura?
letterautore@antiit.eu
venerdì 20 novembre 2009
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