È l’ultima, timida, apparizione di Jeanne Hersch dieci anni fa in Italia, senza seguito. Forse per l’introduzione disattenta di Starobinski, o la postfazione fin troppo densa di Roberta De Monticelli. Una raccoltina di saggi e racconti piena sempre d’interesse. Di una che non dev’essere stata facile, se, “giovane sola”, scriveva all’amato la “filosofia della finitudine”. La sua Eva di Autun “nasce” qui “contemporaneamente alla colpa, all’esilio, all’esistenza”.
Sulla traccia di Heidegger, che seguì a Friburgo dopo lunga e simpatetica frequentazione di Jaspers, al modo di Hannah Arendt, Jeanne Hersch scrive il disagio dell’epoca, la scissione, “la condizione della nostra realtà – del non essere”. Ma in tratti chiari e lievi (“Qui, nel dono d’essere a sé caduchi”), tanto quanto quelli di Heidegger sono sulfurei. Pieni di sorprese. Nella celebrazione della Festa. O della separazione. O del ricordo - “Per la colpa nell’addio, non c’è addio”. Una scrittura suggestiva, non irreale a freddo. La creazione è la creazione dell’Amore. È quindi “Dio contro Dio”: “L’uomo così fu campo di battaglia di Dio contro Dio”.
Jeanne Hersch, La nascita di Eva
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