Dopo il Lazio la Puglia, dove dovrà portare voti a Emiliano, o peggio a Nichi Vendola. Casini è quello che rischia di più alle Regionali. Senza un governatore, che sicuramente avrebbe avuto nel centro-destra, e innecessario nelle giunte. E forse senza neanche un partito, perché il suo, nel Lazio e in Puglia dopo la Sicilia, è fortemente localizzato. Il fenomeno è comune a tutti i partiti storici, Socialisti, Verdi, Sinistre, e anche a Di Pietro e al Pd: la politica è da tempo regionalizzata, con il voto plebiscitario per il Comune, la Provincia e la Regione, ma nell’Udc è ancora più marcato, la leadership di Casini è forte per essere debole, una sorta di portavoce. Senza contare che il voto utile è, localmente, dirimente: nessuno si mette con un perdente, per nessuna strategia o alchimia.
La politica dei due forni, che Andreotti rimproverava a Craxi, o delle due sedie, in queste condizioni non paga: senza una leadership centrale forte, e dura, le formazioni minori sono quelle che portano voti, senza attirarne. Forse Casini non lo sa, ma lui non è Craxi, non governa né con la destra né con la sinsitra, è solo una ruota di scorta. E potrebbe ritrovarsi ingombro di tanti altri che la pensano come lui, tutti a loro proprio avviso indispensabili, Tabacci, Cordero di Montezemolo, Della Valle, Draghi, e forse anche Rutelli, ma con pochi voti, non abbastanza. Le alleanze trasversali sono facili a insinuare nei talk show ma non sono semplici nella realtà e anzi indigeste: chi combatte per un voto combatte anche per un’idea e contro qualcuno. L’Udc, con tutte le carnevalate attorno a Berlusconi, con la moglie di Berlusconi, col fotografo Zappadu, e con i vescovi, rischia di tornare al partito del quattro per cento, più o meno, la soglia di sbarramento – anzi, senza la Sicilia, sotto il quattro.
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